Siamo alla frutta si direbbe, ritornando da una gita fuori porta almeno nel nostro amato Paese. Il livello di occupa zione è ritornato- come è noto da tempo- ai livelli del 2002, per non citare neppure i due milioni di giovani che tra i 15 e i 29 anni non lavorano e non studiano, sempre, più in là in fondo, nell’ormai malinconico quadro del bel Paese. La crisi che, da noi, possiamo definire come economica, sociale ,culturale ma anche morale e priva di passato(per ricordare Arbasino) non è stata affatto superata. Il fatto che noi siamo un paese nel quale il dieci per cento della popolazione più ricca possiede quasi la metà(la Banca d’Italia dice il 46 per cento).La verità è che dall’inizio della crisi ad oggi le disuguaglianze economiche e sociali si sono allargate e stanno ancora crescendo.
L’ultimo rapporto curato dalla CGIL e dalla Società Informazione Onlus afferma che stiamo vivendo una crisi della produzione e della crescita(vocabolo diventato negli ultimi anni particolarmente popolare): dal crollo di Wall Street ad oggi hanno perso il lavoro in Europa oltre dieci milioni di persone portando a ventisette milioni di persone portando a ventisette milioni l’esercito europeo dei disoccupati. Ma intanto proprio l’Italia è il Paese, dove l’indice Gini misura il divario tra redditi alti e bassi è il secondo paese più alto di Europa mentre i paesi che hanno minori disuguaglianze ,cioè quelli del Nord Europa oltre Germania, Olanda, Francia ed Austria, sono proprio i Paesi europei a più bassa disoccupazione e più alto sviluppo. La crisi italiana , sembra crescere lungo un meccanismo che porta ad allargare ancora di più la forbice sociale ed economica che divide i ricchi dai sempre più ricchi e i poveri dai sempre più poveri e chi perde, come è noto, è sempre più quel moribondo(per alcuni ormai definitivamente estinto) che è il ceto medio nella società contemporanea. Due giovani economisti, Maurizio Franzini e Michele Raitano spiegano che se non vogliamo che la ripresa si trasformi in un moltiplicatore delle disuguaglianze sociale è necessario fare molto di più di quello che ora si sta facendo. Il rischio è che in questo mondo non raggiungiamo in nessuna una “redistribuzione del reddito” che oggi diventa sempre più indispensabile per assicurare un minimo di equilibrio complessivo.
E’ proprio perciò che economisti e scienziati sociali(è il caso di Franzini, Raitano e Granaglia hanno scritto insieme Dobbiamo preoccuparci dei ricchi, un saggio che risponde al problema reale per cui nella società contemporanea i ricchi diventano sempre più ricchi raggiungendo redditi così elevati da diventare un problema insieme sociale ed economico. In realtà è il caso di chiedersi se i meccanismi che hanno condotto a una ricchezza così grande siano compatibili con le regole di un mercato sano. O, ancora più chiaro, se la ricchezza rapida ed altissima raggiunta sia nata da qualità individuali eccezionali o dal fatto che i meccanismi normali della concorrenza siano saltati, come in questo paese-se si guarda all’esperienza storica dei due secoli precedenti- è praticamente sempre avvenuto. Ma il tabù, anche questo storico, che circonda di un’aura antica, l’espressione subito comprensibile che è “la patrimoniale” sia ancora rievocabile.
Proprio sul quotidiano romano vicino ai Democratici, Nicola Cacace, ha ricordato che l’Italia dispone di una ricchezza privata di novemila miliardi di euro, sei volte il PIL ma concentrata nelle mani di quel dieci per cento di famiglie che possiedono quattromila miliardi di patrimonio netto. Un contributo straordinario dell’O,5 per cento sui patrimoni delle famiglie più ricche, quelle che dispongono di patrimoni superiori ai due milioni di euro darebbe venti miliardi di euro di entrate e non graverebbe troppo sulla vita e sulle finanze delle famiglie più fortunate. Ora che il governo sembra voler realizzare una politica di maggior controllo sui conti esteri non sarebbe il caso di ripensarci, non dico per la pace sociale che in un Paese carico di storia quale è l’Italia non è di facile realizzazione ma per evitare che tentazioni, sempre presenti tra gruppi di potere sparsi nella penisola ,si facciano di nuovo vedere e procurino danni troppo gravi, soprattutto per le generazioni più deboli e più giovani? E’ un interrogativo, mi pare che dovremmo porci in un tempo difficile come questo che stiamo vivendo.