La recensione di Saviano di un libro sulla Siria indica il più grande successo del regime: l’aver reso tutti uguali, vittima e carnefice.
“Leggo “La guerra dentro” di Francesca Borri mentre le armi chimiche siriane transitano per il porto di Gioia Tauro. Mentre la ferocia divora ragazzi ebrei e musulmani.
Leggo mentre la guerra in Siria, sempre lontana ed estranea ai nostri orizzonti, diventa vicina e ci spaventa.
“La guerra dentro” è un libro coraggioso, è la guerra annusata vista descritta con gli occhi di una reporter pugliese. Una scrittura narrativa, che cerca di mostrare l’affanno del mestiere dei freelance che lavorano senza soldi, con pochi mezzi ed enorme concorrenza. E i giornali che si accontentano di qualunque informazione benché veloce e immediata, senza verifiche e approfondimenti. La Siria interessa e fa notizia solo se un occidentale si unisce alla jihad o se le armi chimiche in viaggio verso la distruzione fanno tappa in Italia.
Altrimenti il silenzio. Silenzio sul massacro. Silenzio su un popolo macellato sequestrato violato. Una guerra difficile da spiegare e difficile da comprendere, senza parti da poter sostenere: un buio di tutti contro tutti, e l’opinione pubblica mondiale che tifa per una parte o per l’altra, senza cognizione, spesso con fanatismo.
Solo la scrittura e il racconto sembrano salvare la Siria, i suoi momenti di luce, la tenerezza umana. La vita ancora possibile”.
Così scrive un autore, Roberto Saviano, che dovrebbe sapere quanto il ritenere tutti uguali, tutti ugualmente condannabili, esecrabili, sia facile, facilissimo, tanto da essere sempre dannoso. E infatti difficilmente al riguardo del Meridione accetterebbe che si facesse di ogni erba un fascio: vittime e carnefici, tutti in un modo o nell’altro colpevoli. Certo, anche noi meridionali, parlando in generale, abbiamo le nostre colpe, i nostri difetti, i motivi per cui qualcuno possa non “prendere parte” per noi ci sono: ma se un arabo leggesse un libro sul meridione d’Italia e poi mettesse tutti i meridionali sullo stesso piano, una reazione indignata sarebbe più che giustificata.
Questo purtroppo sembra non valere per il “buio della Siria”, un buio nel quale tutti i gatti sono neri: le vittime e gli aguzzini, le vittime e gli aguzzini di Hezbollah, le vittime e i pasdaran, le vittime e i piloti del regime che sganciano i barili bomba, le vittime e quei miliziani dell’ISIS che chissà per scelta di chi sono arrivati dall’estero per combattere con ferocia la rivoluzione.
Il problema ovviamente non è prendere le parti del delle tanti parti internazionali che hanno ritenuto di fare della rivoluzione siriana una “proxy war”, una guerra per procura, ma di prendere le parti delle ragioni della rivoluzione democratica, tradita e abbandonata, nei confronti del regime che combatte il suo popolo da oltre mezzo secolo con i mezzi più orrendi che si conoscano. Tutto qua.