BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Le parole del pm Di Matteo e di Salvatore Borsellino non restino senza seguito e riscontro politico

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Nino Di Matteo, il pubblico ministero che sta conducendo per l’accusa il processo palermitano sulla trattativa, parla a ventidue anni esatti dalla strage di via D’Amelio, di fronte ai figli di Paolo Borsellino che non possono dire nulla di quello che dicono .Dopo più di vent’anni da quell’eccidio, che ha eliminato  uno dei due simboli (con Giovanni Falcone) della lotta che si svolge in Italia contro quattro agguerrite associazioni mafiose, ormai presenti in gran parte del pianeta, che a tutto oggi non sappiamo ancora chi sono i mandanti dell’assassinio del magistrato palermitano e delle cinque persone della sua scorta.  Non si può ricordare Paolo Borsellino e assistere in silenzio-ha detto Di Matteo-al preminente tentativo di trasformare il  magistrato inquirente in un semplice burocrate sottoposto alla volontà e all’arbitrio del proprio capo, di quei dirigenti degli uffici, sempre più spesso da un CSM che rischia di essere condizionato nelle sue scelte dalle pretese correntizie e politiche e dalle indicazioni sempre più stringenti del suo presidente.

“Il riferimento a quel “presidente ” del CSM che altri non è che il Capo dello Stato. Non manca neppure, nel l’intervento di Di Matteo il riferimento all’ex cavaliere e sempre capo indiscusso di Forza Italia che non più tardi di ieri ha detto:” Oggi Berlusconi, condannato in via definitiva, discute con il presidente del Consiglio in carica di riformare in via definitiva alla quale Paolo Borsellino aveva giurato fedeltà fino al suo ultimo respiro.” Per quel poco che conosco l’onorevole Rosy Bindi, mi auguro vivamente che, dopo la richiesta di Rita e Salvatore Borsellino e il riferimento preciso di Salvatore al rapporto tra la morte del giudice siciliano ucciso nel luglio 1992 e la trattativa innegabile che ci fu allora tra mafia e Stato, l’attuale presidente della Commissione  valuti al più presto l’opportunità di “aprire una commissione d’inchiesta sulle stragi del ’92.” Sarebbe una scelta che darebbe un senso alla legislatura forse non meno importante delle riforme istituzionali, come di quelle economiche e sociali di cui parla l’attuale governo delle larghe intese e potrebbe, per chi in particolare  ci tiene, allungare-piuttosto che accorciare- perfino  la durata della legislatura.

Del resto, che si possa arrivare alla verità su quello che successe nel ’92-93 non sono d’accordo soltanto i sostenitori, come chi scrive, di un governo finalmente deciso a una mobilitazione civile ed educativa, accanto alla necessaria repressione  delle forze dell’ordine e della magistratura contro le formidabili associazioni mafiose come contro i segreti innominabili della politica italiana, non soltanto i sostenitori del maggior partito della sinistra ma anche tutti i cittadini onesti che vorrebbero vivere in un paese con meno segreti di quelli che ancora ci sono. Non sarà facile arrivarvi ma disponiamo di molte maggiori conoscenze di venti anni fa e altre se ne possono aggiungere in un Paese che dispone di fin troppe università e istituti di ricerche sul nostro passato, lontano e recente.  In questo senso la risposta dell’on. Bindi è importante e ancor più importante che si realizzi qualcosa nel senso indicato come che le parole del pubblico ministero  Di Matteo e di Salvatore Borsellino non restino senza nessun  seguito  e riscontro politico.


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