C’è l’imbarazzo della scelta. Corriere: “È caos al Senato sulle riforme”. “Vietnam Senato. Renzi fa il duro ma lo salva il canguro”, il Fatto. “Terrorismo in Senato”, il Giornale non bada a spese.. Più tradizionale, la Stampa parla di “Braccio di ferro”. E Repubblica “Fallisce la trattativa, scontro al Senato. Preferenze, Renzi apre”. Temo che la giornata di ieri resterà nella memoria e avrà conseguenze pesanti sulla nostra convivenza civile e democratica. È come se tutti, o quasi tutti, ieri in Senato, abbiano perduto l’anima.
Eppure la giornata era cominciata sotto buoni auspici. 9,40, in aula si alza Vannino Chiti e propone: via gli emendamenti, tempo per discutere la riforma nel merito, voto finale a settembre. Apprezzamenti generali, dai banchi del centro e della destra, il Movimento 5 Stelle lo appoggia, Sinistra ecologia e libertà non dice no. Dagli scranni del Pd, Zanda non rinuncia a sfidare SEL, prima via gli emendamenti e poi vediamo. Finocchiaro lancia un appello: riappropriamoci della riforma, discutiamola ed emendiamola, qui, in Senato.
Subito si riunisce la conferenza dei Capi Gruppo. Dicono che Grasso abbia cercato di mediare ma che Zanda e Boschi non abbiano voluto nulla concedere alla Loredana De Petris la quale, secondo me commettendo un errore gravissimo, ha fatto prevalere gli interessi di bottega e non se l’è sentita di ritirare gli emendamenti in cambio di nulla.
Si ricomincia alle 15. Avanti per 9 ore, con la maggioranza che freme per votare e bocciare gli emendamenti ostruzionisti e non parla mai della riforme, con la Ghedini, Pd, che spacchetta alcuni emendamenti in modo da evitare il voto segreto (che paura il voto segreto, ma perché?). Cori e parole grosse dai banchi a 5 Stelle e dalla Lega. Dopo le 18 il Presidente Grasso sperimenta il canguro: bocciato un emendamento se ne cancellano altri 1400 troppo simili. Casson scopre che questo “canguro” è, sì, previsto dall’articolo 85 del regolamento della Camera (e, per analogia, è stata usato anche in Senato) ma l’articolo 85 bis lo vieta espressamente per le leggi costituzionali.
Tensione alle stelle. Intanto arriva l’eco delle esternazioni del Premier. Gli danno una sciabola: “ogni riferimento al Senato – dice – è casuale”. Poi Facebook: “alcuni senatori perdono tempo al Senato per non perdere la poltrona”. Infine twitter: “i gufi, le riforme, i conti non mi preoccupano. La Libia sì. #piccinerie”. Peccato che a sera il Pd voti contro la proposta di sentire il ministro in aula sulla Libia. Certe “piccinerie” dopo tutto contano. A mezzanotte, sotto un acquazzone, tutti a casa. Le opposizioni, ma anche tanti senatori di Forza Italia e dei partiti di centro con la convinzione che il premier abbia intenzionalmente impedito il dibattito preferendo lo scontro. Con i senatori del Pd, proni e stanchi, dopo una maratona senza mai parlare del merito, usando e abusando invece di canguri ed espedienti per soffocare il soffocare. Con noi 14 “dissidenti” che ci sentiamo, e forse siamo, marziani: abbiamo parlato, sì, per un minuto in dissenso dal gruppo: pura testimonianza.
Se si dovesse continuare così, meglio invocare un solo emendamento: si chiuda il Senato. Poi la battaglia si sposterà sulla Camera, per eleggerla i modo proporzionale, se non vorremo finire nella dittatura che Renzi dice di non volere ma rischia di apparecchiare. L’ho detto a Vannino Chiti, il quale mi ha risposto: non possiamo, in tanti hanno condiviso la nostra battaglia per un sistema costituzionale equilibrato e sostenibile. Ha ragione, ma siamo stati presi a pedate dal nostro segretario, dal nostro capogruppo, da parte della stampa che preferisce esaltare il braccio di ferro.
Certo, sui giornali oggi in edicola affiorano dubbi e parte qualche siluro verso Palazzo Chigi. Sul Fatto un imprenditore “amico”, Diego Della Valle, intima: “Riformatori da bar, lasciate in pace la Carta di Einaudi”. Il Corriere descrive un “Premier a testa bassa: avanti anche fino a ottobre” e osserva, con Massimo Franco, “Sarebbe davvero paradossale se si diffondesse l’impressione che la strategia della velocità, scelta per rivoluzionare l’Italia, per ora rischia di far perdere altro tempo prezioso”. Repubblica confina a pagina 27 un bell’intervento di Stefano Rodotà: “Il dibattito sul modo in cui si vuole uscire dal bicameralismo perfetto è inquinato dalla volontà di considerare la riforma del Senato come una partita a sé, un luogo dove piantare la bandierina del vincitore….La struttura e le competenze del futuro Senato…dipendono (invece) strettamente dal modo con cui sarà concretamente configurata la Camera dei deputati”. Si si vuole il premio di maggioranza alla Camera? Il Senato serva da contrappeso. Lo si dice da mesi, ma il Pd tace.
Il Pd? Esiste ancora un partito che non si concluda nell’inchino al suo segretario nonché premier?. Nelle stesse ore in cui senatori, un tempo bersaniani, cuperliani, giovani turchi o lettiani obbedivano rassegnati (forse umiliati) agli ordini di Zanda e Ghedini – tutti zitti a votare e gioire per il canguro –l’Unità comunicava che dal primo agosto non sarà più in edicola. L’Unità, voluta da Antonio Gramsci, che nel 1924 scriveva “Il giornale non dovrà avere alcuna indicazione di partito”. “Dovrà essere un giornale di sinistra”. “Io propongo come titolo l’Unità puro e semplice”. Quel giornale ora viene lasciato morire da un partito del 40,8 per cento, che governa a Roma e nelle principali città e nelle regioni. Non è una metafora, questa?