In numerosi articoli, apparsi su Articolo 21 nelle ultime settimane, ho segnalato più volte i pasticci che il parlamento, eletto nelle elezioni politiche del 24-25 febbraio 2013, sta facendo, e in parte ha già fatto, sulle riforme istituzionali che il governo di Matteo Renzi ha di fatto accoppiato ai necessari provvedimenti sull’ ancora profonda crisi economico-sociale e politico-economica, oltre che istituzionale, che il nostro Paese ha dovuto approfondire negli ultimi anni. Ma proprio l’accoppiamento della riforma del Senato al cosiddetto Italicum, concordato in molti incontri tra il capo del governo Renzi e uno dei leader dell’opposizione, cioè Silvio Berlusconi (che continua a coltivare l’ambizione di allargare le schiere degli elettori disponibili a voltare per la coalizione di centro-destra da lui presieduta).
Ed ora il violento conflitto che si è scatenato nel dibattito sull’approvazione della riforma appare come una sorta di conflitto all’ultimo sangue, ha condotto alla rottura nelle prossime elezioni politiche e amministrative tra il partito democratico di Renzi e Sinistra Ecologia e Libertà di Niki Vendola. E’ chiaro ormai che il movimento, che fa capo al presidente della regione Puglia, si batte a corpo morto per ottenere il ritorno delle preferenze (che il presidente del Consiglio non ha escluso come non ha escluso neppure l’immunità dei nuovi senatori) e soprattutto l’abbassamento della soglia di sbarramento che potrebbe consentire alla lista di Vendola, come ad altri partiti minori (ad esempio, l’NCD di Alfano e Quagliariello) di entrare nel prossimo parlamento.
D’altra parte, non c’è dubbio sul fatto che, qualora la riforma fosse approvata – ormai ad ottobre, secondo le ultime indiscrezioni – nel testo uscito, dopo numerose mediazioni e interventi, dalla Commissione per gli affari costituzionali il numero dei critici esperti di diritto costituzionale potrebbero ancora crescere facendo emergere con sempre maggior evidenza l’affondamento del dibattito nella palude e l’impotenza della politica nel compiere le riforme con tutti i rischi provocati da una simile situazione. Di fronte alle inevitabili scadenze elettorali che prima o poi porranno fine all’attuale legislatura. Ormai il parlamento vede tutti contro tutti, nessuno dei contendenti è disposto a rinunciare a nulla e il patto del Nazareno, che ha condotto nel gennaio scorso all’accordo tra Renzi e Berlusconi, sta diventando una gabbia dalla quale nessuno può uscire. Le prime votazioni a scrutinio segreto hanno consentito alla coalizione di governo di smaltire mille dei circa ottomila emendamenti e la maggioranza delle larghe intese vuole procedere ad ogni costo avanti nella riforma e dalla determinazione opposta di Beppe Grillo e di Niki Vendola di parlare, con sempre maggiore determinazione, di una dittatura che si sta costruendo da parte del Partito democratico rafforzato dai risultati elettorali ottenuti nelle ultime elezioni europee (il 40,8 dei suffragi). Ma, dopo quel notevole risultato, la stessa Europa sta mostrando un filo di impazienza verso il governo italiano. Renzi, e il gruppo dirigente del suo partito, vuole andare avanti ad ogni costo proprio di fronte all’infittirsi delle proteste, per così dire sulla carta e negli scritti degli osservatori. Eppure da parte di chi, come chi scrive, che continua ad amare la politica, pur conoscendone, se non altro per cultura costituzionale e storica, anche molti tra i difetti che – soprattutto nel nostro Paese – la caratterizzano, lo spettacolo offerto negli ultimi anni dalle nostre classi dirigenti (ricordando anzitutto il ventennio populista berlusconiano) ma anche gli anni successivi costituiscono lo specchio di un degrado che avremmo preferito non vedere più.