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In memoria di Filippo Bettini l’ultimo marxista moderno

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Due anni fa, in un caldo sabato di luglio, si spegneva Filippo Bettini. La notizia si sparse rapidamente tra coloro che più lo conoscevano e lo frequentavano, con incredulità e sgomento. E sì, perché il letterato immerso nella buona politica era un prim’attore. Il volume di attività, nota o riposta nella routine quotidiana, era immenso. Docente apprezzatissimo, vero intellettuale poliedrico –esperto e rosso, per dirla con Gramsci- organizzatore culturale straordinario. Le Parche hanno tagliato il filo troppo presto, mentre Bettini stava attendendo alla serie di volumi sulla Capitale “Sotto il cielo di Roma”, illuminante racconto su storie antiche e moderne, in collaborazione con Roberto Piperno.

Tuttavia, qualcosa mancava per saperne di più, vale a dire la raccolta di relazioni, recensioni ed interventi sulla e della prima stagione di un lungo e complesso lavoro culturale. Finalmente, grazie all’impegno di Marcello Carlino, Francesco Muzzioli e Giorgio Patrizi – collaboratori, complici, co-autori- è disponibile una preziosa antologia, dal titolo “Avanguardia e materialismo” (2014, Roma, Robin Edizioni srl, pp.387). Da leggere assolutamente. A cominciare dalla nota introduttiva “La dialettica di materia e ragione”, con un incipit che è già il manifesto teorico di un marxismo mai dogmatico, passato per il lavacro di Antonio Gramsci, Galvano Della Volpe (riferimento costante), Walter Benjamin, Edoardo Sanguineti, per citarne alcuni: “Ripensare il rapporto struttura-sovrastruttura e materia-ragione induce a dichiarare scaduta la nozione di una coincidenza speculare, sostenuta dalla tradizione del marxismo volgare: l’essenza di materialità inerisce tanto alla struttura quanto alla sovrastruttura, anche a quella che ha nome letteratura…..” (p.7, op.cit.). Ecco, da tale impostazione generale si dispiega la riflessione sui valori e sui limiti della neoavanguardia, individuando proprio nella non compiuta critica dell’ideologia una delle ragioni delle contraddizioni in cui si sono dibattute le correnti di rottura, in primis il rinomato “Gruppo 63”.

Le aporie delle avanguardie percorrono le analisi dell’autore, preoccupato “dalle ideologie rampanti della restaurazione letteraria degli anni Settanta”, iniziate negli anni finali del decennio, in cui si prefigurò –e qui viene in soccorso la memoria di tante conversazioni con Filippo- l’involuzione terribile del periodo seguente, con il quale la cultura e la politica non hanno mai fatto seriamente i conti. Così, le suggestive parole sulla “terza ondata”, il tentativo di dare corpo a nuove teorie letterarie, dipanandosi dentro la linea d’ombra che divide modernità e postmodernità. Si riprende l’intuizione felice di Jameson, che distingue tra “condizione della postmodernità” e “ideologia del postmodernismo”. Per una “scrittura materialistica e della contraddizione”, che potremmo con altrettanto vigore scrivere nelle premesse fondative della ricerca. La pratica “allegorica” è un punto qualificante dell’approccio originale e della personalità di Bettini, che oggi andrebbero ripresi e rilanciati. Si è detto della comunanza con Sanguineti, fautore della “scrittura materialistica”. Ma uno dei capitoli originali e preziosi è quello dedicato a Paolo Volponi, giustamente considerato uno degli esempi di letteratura materialista (la fabbrica del Capitale è uno dei leit motiv dello scrittore di Urbino), capace di agire contestualmente nel linguaggio poetico. E viene voglia di andarsi a rileggere “Le mosche del capitale”, romanzo del 1989 di assoluta attualità. Come si rimane colpiti dall’analisi della poetica di Edoardo Cacciatore, tra i maggiori del secondo Novecento e precursore dello sperimentalismo letterario degli anni Sessanta. O dal saggio conclusivo dedicato all’attività teatrale di Michele Perriera, costruita sul rapporto tra scrittura letteraria e scrittura scenica.

In fondo l’opera del marxista moderno Filippo Bettini –controcorrente, dolce e dura insieme, ma sempre rabdomantica- fa pensare alla curiosità e alla capacità critica che portò proprio Marx a capire la profondità di Balzac.

* Fonte: “l’Unità” del 28 luglio 2014 


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