Ovviamente, anche la ripetizione dell’incontro in streaming fra la delegazione del PD e quella grillina si è conclusa con un nulla di fatto. Sarà sempre così, perché in realtà le due parti non hanno nulla da dirsi e continuano a fare tattica, dimostrando scarso rispetto nei confronti dei propri elettori, come se questi non avessero capito da tempo che ogni volta va in scena una recita diversa e sempre uguale, con le frecciatine fra Renzi e Di Maio e le spalle di turno che si fronteggiano a colpi di tecnicismi bizantini, per poi salutarsi con grandi elogi del dialogo, qualche vana promessa e la ripresa, un minuto dopo, delle ostilità cui ormai siamo abituati.
Così si svolge il dibattito nell’epoca della non politica e delle istituzioni trasformate in scheletri, fantasmi ormai privi di senso e credibilità, denigrate e umiliate da un popolo ridotto allo stremo e da rappresentanti in molti casi indegni, privi della benché minima visione ideale, del benché minimo orizzonte, della benché minima idea su come rimettere in moto un Paese allo sbando e in preda all’isteria più assoluta.
È in questo clima che il Premier, reduce dal disastro europeo che gli è costato, di fatto, la bocciatura della Mogherini, ha pensato bene di forzare la mano per portare nell’aula del Senato niente meno che la riforma del bicameralismo perfetto: un pastrocchio senz’anima che rischia di ridurre un’istituzione già di per sé delegittimata in un mero votificio, popolato da dopolavoristi in vacanza premio a Roma, le cui funzioni sono tuttora ignote ai più.
Al che, tornano in mente le riflessioni che Carla Voltolina, moglie del presidente Pertini, purtroppo scomparsa a sua volta, pronunciò in occasione dell’approvazione, il 23 marzo 2005, della riforma costituzionale che, grazie a Dio, milioni di italiani provvidero a respingere l’anno successivo con un referendum: “L’approvazione del testo di modifica della Costituzione Repubblicana suscita grave inquietudine, e mi impone di rompere senza indugio il silenzio. Le modifiche costituzionali prefigurano, come è stato osservato da autorevoli studiosi, una repubblica “bonapartista”, esse riecheggiano per taluni aspetti, aggiungo senza troppo sforzo di fantasia, le leggi fascistissime del ‘25”.
Ora, è vero che ogni fase storica ha i suoi mali e le sue contraddizioni e che la storia non si ripete mai allo stesso modo, ma di sicuro preoccupa il fatto che stavolta sia la sinistra, o sedicente tale, a promuovere una riforma che, guarda caso, viene sottoposta dagli stessi studiosi a critiche molto simili a quelle evidenziate nove anni fa dalla Voltolina; e, guarda caso, anche allora protagonista del misfatto fu proprio il Senato, fra le grida di giubilo dei soliti noti e gli annunci festanti della nascita di una “nuova Italia”.
Peccato che di nuovo, allora come oggi, in quella pessima riforma come in questa, non ci sia proprio nulla perché le palingenesi basate sulla fretta e, lasciatecelo dire, su un certo tasso di arroganza nei confronti di ogni forma di dissenso non hanno mai condotto da nessuna parte, se non nel baratro.
Perché, come ha ben spiegato il senatore dissidente Walter Tocci in un mirabile intervento in Aula, “come le persone, anche le parole si stancano, dice il libro dell’Ecclesiaste. Sotto il peso delle promesse, degli inganni e delle delusioni si è sfiancata perfino la parola riforma”.
Stanchezza e noia: sono questi i sentimenti oggi prevalenti. Stanchezza nei confronti della democrazia rappresentativa, noia nei confronti del dissenso, del confronto, della discussione pubblica, con le sue liturgie, i suoi tempi lunghi, i suoi contrasti e quella fastidiosa costrizione a mediare, a cedere su qualcosa, a venire incontro alle richieste dell’altro dopo averne ascoltato le ragioni. Meglio un tweet o una battuta, meglio una frase scritta su Facebook o una dichiarazione alle agenzie di stampa: tutto è immediato, tutto si consuma rapidamente, tutto svanisce nell’arco di poche ore.
Peccato, però, che così si consumi anche il concetto di democrazia e, con esso, i valori fondanti del nostro stare insieme, al pari del nostro linguaggio, della nostra considerazione per le ragioni dell’altro, della nostra volontà di cooperare e collaborare per costruire una società migliore e del nostro patto repubblicano nato dal sangue della Resistenza e dall’entusiasmo della Festa della Liberazione.
Peccato che, come afferma sempre Tocci: “La Costituzione è come la lingua che consente a persone diverse di riconoscersi, di incontrarsi e di parlarsi. La Carta è il discorso pubblico tra i cittadini e la Repubblica, è il racconto del passato rivolto all’avvenire del Paese. Se la Costituzione è una lingua lo stile è tutto. Senza lo stile è possibile l’autocompiacimento del ceto politico, ma non il riconoscimento repubblicano”.
In poche righe, Tocci ha sintetizzato tutto ciò che stiamo perdendo: il rispetto reciproco, il dialogo fra le generazioni e quell’ideale nobile di un percorso che guarda al futuro, a giorni che magari neanche vivremo ma che abbiamo il dovere di programmare per lasciare qualcosa di importante in eredità a chi verrà dopo di noi.
Con questa orribile riforma, caro presidente Renzi, tutto ciò in cui abbiamo creduto e per cui ci siamo battuti per anni, spesso in piazza, al fianco dei partigiani e delle associazioni, dei movimenti e di chi ancora crede che la sinistra sia il luogo del confronto aperto e di una ricchezza culturale matura, tutto questo rischia di svanire per sempre, portando via con sé la nostra storia e le nostre tradizioni, le nostre radici e le nostre speranze e spezzando definitivamente quel legame lacero ma ancora tenacemente resistente fra la cittadinanza attiva e la parte sana della politica.
Ci pensi bene, presidente Renzi: noi siamo convinti che lei non sia né un dittatore né un fautore di alcuna svolta autoritaria né, meno che mai, che abbia intenzione di ricalcare le “leggi fascistissime del ‘25”; pensiamo che sia inesperto e un po’ troppo presuntuoso, questo sì, e che il suo ego eccessivo le impedisca di vedere che non sta riformando un bel nulla bensì sfibrando ulteriormente un tessuto civico già a brandelli e un assetto istituzionale e costituzionale già ampiamente destabilizzato da vent’anni di berlusconismo. Le conviene fermarsi: una responsabilità del genere finirebbe col piegare persino un personaggio come lei, da sempre abituato a “mettere la faccia” in ogni cosa che fa.