10 milioni di italiani che vivono in condizioni di povertà relativa è una cifra spaventosa, la misura di una situazione di crisi che non sembra finire mai. I media e l’Istat ce ne hanno parlato ieri mentre a Gaza si consuma l’ennesima guerra con vittime e rappresaglie infinite e il Parlamento tenta la riforma del Senato. Penso alla famiglia italiana seduta a tavola all’ora di cena. Il papà si sentirà profondamente colpito, magari direttamente, dalla notizia sullo stato del nostro amato Paese e forse avrà distrattamente derubricato la domanda da 100 milioni di euro dei figli “Papà, ma che succede nella Striscia di Gaza?” con un “E’ lunga…vabbè ragazzi, laggiù è una polveriera fanno sempre la guerra tra di loro, non ci sono soluzioni”. Ha ragione il papà. Ci sono questioni che ci toccano molto da vicino, che riguardano il nostro agire quotidiano, il nostro portafogli, che spostano irrimediabilmente “l’attenzione delle 20.30”, altre, ahimè, come le vittime delle guerre nel mondo non ci trovano emotivamente preparati neanche quando i numeri raddoppiati degli sbarchi, la gran parte dei quali sono madri e bimbi siriani in fuga da una guerra che ha prodotto 3 milioni di profughi e migliaia di morti ben oltre la guerra in Bosnia, ne rappresentano la più elementari delle spiegazioni.
Milioni di vittime delle guerre in corso fuggono dalle violenze, da morte sicura, da stupri, limitazioni della libertà e così via, sempre peggio. Ecco perché sono convinto che nessuno alzerà la testa mentre mangia un piatto di spaghetti alla notizia che 2,3 milioni (tutta Roma quasi per capirci) di bambini sono colpiti dalla guerra in Centrafrica (Centrafrica, si chiama così, e smettete di chiedermi il vero nome di questo paese africano quando vado in giro per Università in tutta Italia…è successo, lo giuro) e un bambino al giorno viene mutilato o ucciso a causa degli scontri. Per non parlare del Sud Sudan dove le violenze interetniche hanno prodotto 1 milione di sfollati e 3 milioni di persone sono a rischio fame. Ho capito, no, nessuno dei due paesi partecipava ai Mondiali ed il Sud Sudan è uno Stato di recente creazione, ricco di petrolio, dove si dice, ma non è confermato, ci siano migliaia di morti. Genocidio, come in Ruanda e come forse in Siria, per non usare altre definizioni perché forse è troppo oppure troppo poco. Ma ce ne accorgeremo tra qualche anno e canteremo insieme stringendoci per mano “Mai più!”. Insomma le vittime della guerra come quella che ci hanno raccontato i nostri nonni 60 anni fa, sono moltissime e sono sempre “civili”.
Nelle guerre odierne, il 90% delle vittime è rappresentato da civili, che costituirono circa il 50% delle perdite umane complessive nella Prima guerra mondiale e il 66% nella Seconda guerra mondiale. Possibile? Si e a leggere questi dati sembra che il modo più sicuro per uscire vivi da un conflitto è essere un soldato in armi, mentre i rischi maggiori di essere ferito o ucciso li corre chi non ha alcun mezzo per difendersi. Così i bambini sono le vittime preferite dei conflitti, mentre mi domando se qualcuno della famiglia di cui sopra avrà alzato la testa dal piatto mentre passano le immagini di uno dei pochi ma utili servizi che la tv italiana dedica a questi temi. Adolescenti, ragazzi e persino bambini vengono spesso utilizzati in prima persona nelle operazioni militari, dopo avere subito condizionamenti e violenze di ogni tipo. Succede da sempre, accade in queste ore.
Che fare? Ci vorrebbe una “Malala dei conflitti dimenticati”, delle violenze subite, delle stragi taciute, dei pacifismi spariti. Ci vorrebbe una first lady al giorno con un cartello simil “BringBackOurGirls” che dicesse semplicemente “Peace”. Ci vorrebbe un nuovo John Lennon, una giovane Yoko Ono, un ispirato John Fitzgerald Kennedy o un moderno Gandhi. O forse no, mi correggo, non serve scomodare personalità così importanti, guardiamo al futuro. Basterebbero scuole che insegnano ai nostri figli ad essere cittadini del mondo, padri normali che spieghino a cena il conflitto di Gaza o la guerra in Siria semplicemente dicendo loro che sono scempi che devono finire. Basterebbe qualche pagina in più di politica estera sui giornali e meno di politica interna, qualche autorevole cantante o intellettuale meno a gettone e più ad “emozione” per risvegliare qualche coscienza in più. Basterebbe che tutti chiedessimo ai nostri media di investire ogni giorno in un servizio per conoscere quello che accade fuori dai nostri confini (abbiamo i migliori inviati del pianeta) e non come accade oggi con due minuti di “sciacquacoscienza” da periodo estivo o natalizio dove peraltro non vinceremo mai contro Belen, le spiagge più belle, i mari con la bandierina, Babbo Natale e il gossip nostrano (di cui peraltro vado matto anche io). Basterebbe più amore, l’unico in grado di far parlare di vittime un mondo che va troppo veloce, che pullula di facili distrazioni. Le vittime non fanno notizia, meno dei morti. Oggi però rivolgo un appello ai Direttori delle grandi testate italiane, agli editori ai giornalisti. Parliamone, senza drammi, potremmo aiutare una generazione di italiani a crescere più forti, più veri e soprattutto più consapevoli. Le vittime delle guerre ci riguardano, il nostro Paese lo sa bene.
* Portavoce UNICEF Italia