L’appello di Giuseppe Guzzetti, presidente Acri: “Tutele sbilanciate a favore dei lavoratori, sottodimensionate le risorse rivolte ai servizi di tutela e assistenza delle persone”. E aggiunge: “Domanda e offerta di protezione sociale vanno ripensate”
ROMA – “La risposta alla crisi del nostro welfare non potrà che essere collettiva e societaria. Domanda e offerta di protezione sociale dovranno essere ripensate, molte incrostazioni dovranno essere rimosse a favore di nuovi e più flessibili strumenti”. Così Giuseppe Guzzetti, presidente Acri, l’associazione delle Fondazioni e delle Casse di risparmio Spa durante il convegno “Welfare di comunità, il ruolo delle fondazioni” tenutosi oggi a Roma presso la sede dell’Acri in vista della Giornata europea delle Fondazioni, la cui seconda edizione si terrà il primo di ottobre. Al centro dell’incontro di oggi, il welfare italiano e il contributo delle Fondazioni.
In Europa sono più di 110 mila le fondazioni di pubblica utilità che possiedono un patrimonio stimato di circa 350 miliardi di euro, impiegano circa un milione di cittadini e spendono per le proprie comunità dica 83 miliardi. In Italia, invece, le Fondazioni di origine bancaria hanno mantenuto costante il proprio impegno economico a favore del welfare con 296 milioni di euro erogati nel 2012 per assistenza sociale, salute pubblica e volontariato e altri 293 milioni di euro per il 2013. Un impegno che Acri intende sostenere ricercando modalità di intervento “innovative ed efficaci” contenute nelle linee guida sviluppate dalle Fondazioni e presentate oggi. “Proponiamo per le nostre associate un compito peculiare – ha spiegato Guzzetti -, nell’ambito del terzo settore e nel rispetto del ruolo delle istituzioni, caratterizzato da una ricerca proattiva dell’innovazione, dalla costante attenzione a verificare l’efficacia e l’efficienza degli interventi, dalla promozione del coordinamento tra i diversi soggetti per favorire la costruzione di reti sociali”.
Secondo Guzzetti, infatti, è “da correggere la scelta di assegnare una parte rilevante delle prestazioni pubbliche sotto forma di trasferimenti monetari alle persone e alle famiglie, generalmente erogati dall’Inps senza alcun coordinamento con i comuni, che sono gli erogatori di servizi reali. Questa scelta ha senz’altro assicurato elevati gradi di flessibilità, ma al contempo ha posto in capo ai beneficiari la scelta di come destinare le risorse ricevute, tendendo complicata, se non impossibile, ogni valutazione di efficacia di prestazioni alternative e con la conseguenza di non aumentare l’autonomia degli utenti”. Per Guzzetti, inoltre, il sistema di welfare in Italia “risulta fortemente sbilanciato a favore di interventi di protezione sociale a tutela dei lavoratori con forme occupazionali più stabili, trascurando quelli con impiego precario e coloro che non riescono ad accedere al mercato del lavoro, sottodimensionando le risorse rivolte più propriamente ai servizi di tutela e assistenza delle persone”.
Uno sbilanciamento sottolineato anche da Pietro Barbieri, portavoce del Forum del Terzo settore. “Esiste una spesa pubblica di welfare nel nostro paese che viene paragonata con i paesi europei e dà un esito particolare – ha spiegato -: abbiamo 7-8 punti di Pil in più di spesa sulla previdenza. Due e mezzo in meno sul welfare, uno in meno sulla sanità, rispetto alla media europea. Le risorse ci sono, esistono ma sono distribuite in maniera molto diversa rispetto a quello che capita in altri paesi, tanto che gli ultimi dati Eurostat ci collocano al 25° posto per quel che riguarda la spesa della non autosufficienza. Dietro di noi ci sono Cipro e Grecia. Sulla povertà raggiungiamo invece l’ultimo posto su 27 paesi dell’Unione europea. La nostra comunità non investe sulla povertà assoluta”.
In tempi di crisi dei sistemi di welfare e di protezione sociale pubblici, però, gli enti e le fondazioni possono dare il proprio contributo, ha spiegato Felice Scalvini, presidente di Assifero (associazione italiana Fondazioni ed enti di erogazione). “Gli enti e le fondazioni che in modo organizzato operano per il bene comune sono in grado di apportare valore e risorse, non meramente finanziarie, alla costruzione di una rete di sostegno alle comunità e ai territori. Il cosiddetto Terzo settore ha ormai raggiunto un livello di maturazione di conoscenza dei bisogni e di capacità operativa trasversale imprescindibili a cui il settore pubblico dovrebbe guardare con sempre maggio favore non solo nel momento in cui è a caccia di risorse monetarie”.
Fondazioni di origine bancaria che “presto potranno diventare più europee”, ha ricordato Guzzetti, in vista dell’approvazione di uno statuto europeo delle fondazioni. “Uno statuto della Fondazione Europea – ha aggiunto Guzzetti – consentirebbe di eliminare i costi eccessivi e gli ostacoli per la creazione di fondazioni transnazionali, definendo al contempo le condizioni per uniformare le regole nazionali in termini di dotazione patrimoniale, trasparenza e obblighi di rendicontazione”. Un anno fa l’approvazione di una risoluzione del Parlamento europeo sulla proposta di regolamento sul tema e a Renzi, Guzzetti chiede di attivarsi in merito. “L’auspicio – ha concluso Guzzetti – è che in questo semestre lo statuto della Fondazione europea possa essere varato“. (ga)