Bambine, giovani donne, sono più di 200, hanno tra i 12 e i 17 anni e da Aprile sono nelle mani degli integralisti islamici del Boko Haram. Quando la notizia del loro rapimento era riuscita, grazie alle loro famiglie e agli attivisti nigeriani, ad oltrepassare i confini del paese e a fare il giro del mondo si è verificata un ondata d’indignazione che ha visto politici, attivisti, persone dello spettacolo e persone comuni, mettere le loro voci e i loro volti nella campagna #BringBackOurGirls. Il mondo, in questi pochi mesi ha visto l’avvicendarsi di altre tragedie umane, alcune recentissime, come l’attacco a Gaza e l’abbattimento dell’aereo di linea malese sul confine fra l’Ucraina e la Russia, mentre continuano, nell’indifferenza generale, tragedie come quelle che riguardano la Siria il cui bilancio, secondo alcuni dati, sfiora le 250.000 vittime, le centinaia di migliaia di feriti e i milioni di rifugiati.
L’espansione del gruppo Boko Haram in Nigeria sta seminando morte e violenza, negli ultimi 6 mesi il movimento integralista ha ucciso 2.053 civili e proprio per sottolineare il proprio crescente potere, nei giorni scorsi ha diramato un video in cui si vede il leader, Abubakar Shekau, farsi beffe della campagna #BringBackOurGirls cantando “Bring Back Our Army” (ridateci i nostri soldati).
Una zona dello stato del Borno è stata praticamente trasformata in un campo di sterminio dove l’insurrezione regna sovrana e dove le forze armate nigeriane non sembrano in grado di poter fare molto per proteggere la popolazione. Nonostante questo gli attivisti, che hanno dato vita al movimento #BringBackOurGirls, continuano a marciare e a far sentire le loro voci nel paese, malgrado i tentativi di screditare il movimento da parte del governo che ancora una volta non sembra in grado di gestire la situazione: nei giorni scorsi la portavoce del Dipartimento dei Servizi di Sicurezza, Marilyn Ogar, ha accusato il movimento di essere un franchising.
A distanza di 3 mesi dal rapimento di massa delle ragazze non si hanno notizie certe del loro stato, non è possibile sapere se siano state vendute, se siano ancora vive, a dispetto delle rassicurazioni che il presidente Goodluck Jonathan ha fatto nei giorni scorsi alla presenza dell’attivista pakistana Malala Yousafzai.
Il dramma dei bambini, vittime in Siria, a Gaza, in Nigeria o uccisi mentre si trovano a bordo di un normale aereo di linea, violentati in Asia come in altre parti del mondo, costretti al lavoro che spesso è schiavitù, costretti ad una vita dove anche i diritti elementari al cibo, all’istruzione e al gioco vengono negati, dovrebbe farci riflettere, ancora una volta, sulla necessità di poter fare di tutto affinché vengano assicurati i diritti umani a tutti. In Nigeria le ragazze e le bambine, sottratte alle famiglie dai membri del Boko Haram, sono state rapite perché studiavano, perché potevano avere una vita migliore, non possiamo non lottare affinché anche la loro vita non venga spezzata per sempre.