Il 13 febbraio 2011 in piazza del Popolo a Roma abbiamo legato la dignità delle donne a quella del Paese. Il declino dell’uno rifletteva la marginalità delle altre. Specchio, e specchio deformante, di questo declino il sistema mediatico, veicolo di un’immagine delle donne intollerabile.
L’11 dicembre del 2011, di nuovo in piazza del Popolo, abbiamo chiesto un servizio pubblico con una missione precisa: fare dell’Italia un Paese di donne e uomini con pieni diritti di cittadinanza per entrambi. Ma come si qualifica oggi un servizio pubblico, se non si tratta solo di identificarlo con la proprietà dello Stato?
Un servizio pubblico chiede innanzitutto forza e innovazione di sistema, ma chiede soprattutto linguaggi e contenuti effettivamente “pubblici” (cioè non plasmati dal mercato pubblicitario e ad esso funzionali). Per ricorrere alla metafora già usata: non basta raddrizzare lo specchio perché non ne continui a uscire un’immagine deformata; occorre di più. E quel di più chiama in causa l’intera collettività, perché é in gioco una “questione nazionale”.
A una comunità nazionale non serve solo una comunicazione efficace tra le proprie Istituzioni e la cittadinanza. È forse ancor più necessario un luogo in cui depositare la memoria di sé, per raccontarla a se stessa infinite volte, e in forme diverse. Un luogo dal quale attingere quel senso di identità forte che solo permette di affrontare senza paure le sfide dell’incontro con altre culture. Un luogo dal quale pensare istituzioni democratiche forti per il nostro Paese e per l’Europa. Un luogo dal quale pensare il mondo con amicizia e spirito di confronto, aperto al dialogo. Un luogo, in una parola, di libertà. La Tv bernabeiana ha contribuito a farci italiani, a dare a tutti noi la nostra lingua. Non abbiamo ora bisogno di una Tv che ci faccia pensare, ma anche sognare in europeo?
Bisogna, dunque, puntare su una Tv pubblica con almeno un canale generalista senza spot, pagato dal canone, per consentire alla mano pubblica di far da guida all’iniziativa privata nella fiction, nei format e nell’animazione. La Tv generalista, quando trasmette storie, fiction appunto, ha a che fare con i sogni e l’identità. Ha a che fare, oltre che con il racconto della realtà, con la storia di un popolo. Ora, come non vogliamo lasciare la scuola, o almeno tutta la scuola, al mercato, così non vogliamo lasciargli intera la memoria di un popolo e la fabbrica dei sogni. Ma a Piazza del Popolo abbiamo chiesto di più. Abbiamo chiesto di affidare al Servizio pubblico un compito più arduo: contribuire a costruirci come popolo che si fa duale. Come popolo cioè che concepisce se stesso in modo tutt’affatto diverso da prima; costituito, cioè, non da individui neutri, ma da due soggetti: donne e uomini. Occorre a tal fine modificare costumi plurimillenari e rimuovere stereotipi che hanno radici nella notte dei tempi. Un’opera destinata a mutare la concezione stessa dell’umano e della sua libertà.
Chi regge e ha a cuore le sorti dell’Italia affidi al nuovo Servizio Pubblico radiotelevisivo e multimediatico questa “missione” e lo doti di un nucleo profondo e forte di identità, capace di preservarsi, difendendosi dall’invadenza degli innumerevoli soggetti interessati a utilizzarne la forza comunicativa per scopi futili o impropri.
“Missione” è un mandato ineludibile a introdurre nella programmazione valori e idee che non sono correnti, che non si trovano sul mercato. Insomma, valori e idee inediti. Se quei valori e quelle idee fossero moneta corrente, ossia già senso comune, che bisogno ci sarebbe di un sia pur rinnovato servizio pubblico? E d’altro canto che cosa c’è di più inedito nella storia della libertà femminile?