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Un po’ meno sindaci nel nuovo senato 19 giugno 2014

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 Andrea Fabozzi – Il manifesto

E’ sem­pre Renzi-Berlusconi. Le riforme costi­tu­zio­nali restano un appun­ta­mento per due, un appun­ta­mento ancora rin­viato ma intui­bile sullo sfondo. Nel frat­tempo si incon­trano i secondi, il capo­gruppo dei sena­tori for­zi­sti Romani e la mini­stra Boschi che però girano sem­pre attorno alla moda­lità di ele­zione del nuovo senato. L’ex Cava­liere accetta ormai da tempo l’elezione indi­retta, ma punta ancora a ridurre il peso dei sin­daci che con­si­dera tutti o quasi tutti di sini­stra (gli ultimi rove­sci alle ammi­ni­stra­tive l’hanno raf­for­zato nell’idea). Ieri in con­fe­renza stampa ha fatto il nome del «man­dante» di Renzi, l’Anci (l’associazione nazio­nale dei comuni) di cui uno dei regi­sti dell’operazione-senato, il sot­to­se­gre­ta­rio Del­rio, è stato pre­si­dente prima di pas­sare la mano a un altro fol­go­rato da Renzi, Fassino.
La con­fe­renza stampa di Ber­lu­sconi era in realtà con­vo­cata per lan­ciare — per la sesta volta nel ven­ten­nio — l’opzione pre­si­den­zia­li­sta. Ma a tal punto l’ex Cava­liere vuole restare in scia a Renzi che fatto il lan­cio ha riti­rato la mano. Ha pre­ci­sato che l’elezione diretta del pre­si­dente della Repub­blica «non è una pre­giu­di­ziale», che «man­ter­remo gli impe­gni», e che «sono certo che l’accordo si tro­verà». Sarà un accordo vero­si­mil­mente sug­gel­lato da un nuovo incon­tro la pros­sima set­ti­mana, esteso anche alla legge elet­to­rale — Grillo arriva tardi — e all’elezione dei due giu­dici costi­tu­zio­nali.
Renzi fa sapere che «ci siamo» come ormai ogni set­ti­mana da due mesi, ma sta­volta le posi­zioni sono dav­vero vicine. Anche per­ché la Lega di Cal­de­roli ha tirato den­tro Forza Ita­lia, e i due sena­tori con­trari che pote­vano con­di­zio­nare l’esito sono stati cac­ciati dalla com­mis­sione affari costi­tu­zio­nali. Poi in aula si vedrà. L’ultima spinta è arri­vata dalla con­fe­renza dei capi­gruppo di palazzo Madama, che ha già fis­sato la data dell’approdo in aula del dise­gno di legge costi­tu­zio­nale — il 3 luglio — quando ancora non è stato votato un emen­da­mento. Anzi, quando ancora non si cono­scono nel det­ta­glio gli emen­da­menti della rela­trice Finoc­chiaro (li leg­ge­remo forse domani, forse martedì).
Alcuni pos­sono con­si­de­rarsi scon­tati, si tratta delle cor­re­zioni agli sva­rioni che il governo ha volu­ta­mente lasciato nel testo Renzi-Boschi per far toc­care palla ai sena­tori: la ridu­zione dei 21 sena­tori di nomina pre­si­den­ziale, il rie­qui­li­brio dei pesi delle regioni sulla base della popo­la­zione, l’ampliamento della pla­tea dei grandi elet­tori del pre­si­dente della Repub­blica (così da non far deci­dere tutto alla camera) e l’aumento delle com­pe­tenze della nuova camera, che si chia­merà ancora senato della Repub­blica. Quanto ai sin­daci, che nel primo pro­getto di Renzi avreb­bero dovuto com­porre la quasi tota­lità dell’assemblea e nel secondo almeno la metà, scen­de­ranno pro­ba­bil­mente ancora sotto la quota di un terzo, avvi­ci­nan­dosi al numero di uno per regione. Troppi in ogni caso, a voler seguire la logica: gli ammi­ni­stra­tori comu­nali non sono nean­che lon­ta­na­mente dei legi­sla­tori come i con­si­glieri regio­nali, ma la ban­diera del cam­pa­nile Renzi e Del­rio dovranno pur sventolarla.
E così i con­si­glieri regio­nali sce­glie­ranno al pro­prio interno e tra i sin­daci della regione i nuovi sena­tori — «per un’istituzione leg­gera», dice Del­rio. Forza Ita­lia, che a conti fatti è in mino­ranza anche nei con­si­gli regio­nali, sta cer­cando una mec­ca­ni­smo per ste­ri­liz­zare l’effetto della leggi elet­to­rali regio­nali mag­gio­ri­ta­rie, ma non è facile. Renzi sa che l’alleato Ber­lu­sconi lo seguirà comun­que e la prova sta nel modo con il quale ha liqui­dato la sor­tita pre­si­den­zia­li­stica: «Aprire la que­stione adesso è inop­por­tuno e intem­pe­stivo». Non che l’argomento lo disturbi.
L’ultimo osta­colo è quello al solito vele­noso dei det­ta­gli. Ma il cuore, cioè la volontà di Renzi di scol­pire il suo segno e di Ber­lu­sconi di non per­dere il treno — «sono le riforme che abbiamo sem­pre voluto» — è già oltre l’ostacolo. L’ultima con­ferma è arri­vata dalla giunta per il rego­la­mento che doveva occu­parsi della desti­tu­zione di Mario Mauro dalla prima com­mis­sione, ordi­nata da Renzi ed ese­guita da Casini. Per Forza Ita­lia uno scan­dalo, fino all’altrieri. Ma il voto dei for­zi­sti unito a quello di Sel e M5S avrebbe finito per ripor­tare in com­mis­sione il sena­tore con­tra­rio al testo del del governo. E allora fermi tutti, meglio rinviare.

Da libertaegiustizia.it

 


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