Andrea Fabozzi – Il manifesto
E’ sempre Renzi-Berlusconi. Le riforme costituzionali restano un appuntamento per due, un appuntamento ancora rinviato ma intuibile sullo sfondo. Nel frattempo si incontrano i secondi, il capogruppo dei senatori forzisti Romani e la ministra Boschi che però girano sempre attorno alla modalità di elezione del nuovo senato. L’ex Cavaliere accetta ormai da tempo l’elezione indiretta, ma punta ancora a ridurre il peso dei sindaci che considera tutti o quasi tutti di sinistra (gli ultimi rovesci alle amministrative l’hanno rafforzato nell’idea). Ieri in conferenza stampa ha fatto il nome del «mandante» di Renzi, l’Anci (l’associazione nazionale dei comuni) di cui uno dei registi dell’operazione-senato, il sottosegretario Delrio, è stato presidente prima di passare la mano a un altro folgorato da Renzi, Fassino.
La conferenza stampa di Berlusconi era in realtà convocata per lanciare — per la sesta volta nel ventennio — l’opzione presidenzialista. Ma a tal punto l’ex Cavaliere vuole restare in scia a Renzi che fatto il lancio ha ritirato la mano. Ha precisato che l’elezione diretta del presidente della Repubblica «non è una pregiudiziale», che «manterremo gli impegni», e che «sono certo che l’accordo si troverà». Sarà un accordo verosimilmente suggellato da un nuovo incontro la prossima settimana, esteso anche alla legge elettorale — Grillo arriva tardi — e all’elezione dei due giudici costituzionali.
Renzi fa sapere che «ci siamo» come ormai ogni settimana da due mesi, ma stavolta le posizioni sono davvero vicine. Anche perché la Lega di Calderoli ha tirato dentro Forza Italia, e i due senatori contrari che potevano condizionare l’esito sono stati cacciati dalla commissione affari costituzionali. Poi in aula si vedrà. L’ultima spinta è arrivata dalla conferenza dei capigruppo di palazzo Madama, che ha già fissato la data dell’approdo in aula del disegno di legge costituzionale — il 3 luglio — quando ancora non è stato votato un emendamento. Anzi, quando ancora non si conoscono nel dettaglio gli emendamenti della relatrice Finocchiaro (li leggeremo forse domani, forse martedì).
Alcuni possono considerarsi scontati, si tratta delle correzioni agli svarioni che il governo ha volutamente lasciato nel testo Renzi-Boschi per far toccare palla ai senatori: la riduzione dei 21 senatori di nomina presidenziale, il riequilibrio dei pesi delle regioni sulla base della popolazione, l’ampliamento della platea dei grandi elettori del presidente della Repubblica (così da non far decidere tutto alla camera) e l’aumento delle competenze della nuova camera, che si chiamerà ancora senato della Repubblica. Quanto ai sindaci, che nel primo progetto di Renzi avrebbero dovuto comporre la quasi totalità dell’assemblea e nel secondo almeno la metà, scenderanno probabilmente ancora sotto la quota di un terzo, avvicinandosi al numero di uno per regione. Troppi in ogni caso, a voler seguire la logica: gli amministratori comunali non sono neanche lontanamente dei legislatori come i consiglieri regionali, ma la bandiera del campanile Renzi e Delrio dovranno pur sventolarla.
E così i consiglieri regionali sceglieranno al proprio interno e tra i sindaci della regione i nuovi senatori — «per un’istituzione leggera», dice Delrio. Forza Italia, che a conti fatti è in minoranza anche nei consigli regionali, sta cercando una meccanismo per sterilizzare l’effetto della leggi elettorali regionali maggioritarie, ma non è facile. Renzi sa che l’alleato Berlusconi lo seguirà comunque e la prova sta nel modo con il quale ha liquidato la sortita presidenzialistica: «Aprire la questione adesso è inopportuno e intempestivo». Non che l’argomento lo disturbi.
L’ultimo ostacolo è quello al solito velenoso dei dettagli. Ma il cuore, cioè la volontà di Renzi di scolpire il suo segno e di Berlusconi di non perdere il treno — «sono le riforme che abbiamo sempre voluto» — è già oltre l’ostacolo. L’ultima conferma è arrivata dalla giunta per il regolamento che doveva occuparsi della destituzione di Mario Mauro dalla prima commissione, ordinata da Renzi ed eseguita da Casini. Per Forza Italia uno scandalo, fino all’altrieri. Ma il voto dei forzisti unito a quello di Sel e M5S avrebbe finito per riportare in commissione il senatore contrario al testo del del governo. E allora fermi tutti, meglio rinviare.