BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Terzo settore, “serve un contratto nazionale per chi ci lavora”

0 0

Contributo di cinque imprese sociali alla consultazione pubblica sulla riforma del terzo settore: chiedono regole certe per la stabilità dei lavoratori e un fondo pensionistico appropriato. “L’Authority deve combattere le finte associazioni”

ROMA – Dare stabilità e futuro alle persone che lavorano nelle realtà del terzo settore, introducendo una forma di contratto nazionale, declinato a livello locale, che sia fatto su misura per le forme associative. C’è anche questo suggerimento nel contributo alle Linee guida per una riforma del terzo settore presentato da cinque realtà senza scopo di lucro che a Roma hanno messo in piedi realtà imprenditoriali di alto livello. Cinque imprese sociali che fanno cultura, producono occupazione, creano benessere anche economico e che sottolineano la necessità di individuare strumenti per garantire da un lato un sostegno finanziario concreto e dall’altro il rispetto delle regole.

C’è l’Upter (Università popolare di Roma), leader “nell’apprendimento permanente” con oltre 400.000 iscritti in 26 anni; c’è Maratona di Roma, associazione sportiva dilettantistica che gestisce da 21 anni un evento sportivo da 150 mila partecipanti che porta la Capitale sugli schermi di tutto il mondo; c’è Explora Museo dei bambini, il primo museo privato e non profit, capace di accogliere oltre 150.000 visitatori anno; c’è la Scuola Popolare di Musica Donna Olimpia, che come associazione culturale ha portato la musica ad oltre 100 mila alunni nelle scuole delle città; e infine Primavera ciclistica, altra associazione sportiva dilettantistica che dal 1946 organizza a Roma il 25 aprile il Gran premio della liberazione, una sorta di campionato mondiale di ciclismo per under 23. “Tutti noi, da decenni – spiega Francesco Florenzano, presidente Upter – svolgiamo una funzione sociale ed educativa, ma anche una funzione pubblica, sostituendoci e supplendo anche in maniera strutturale all’attività pubblica: questo deve essere riconosciuto e la riforma del terzo settore è l’occasione per definire regole chiare che tutti devono rispettare”. “Esistono – precisa – nel mondo del volontariato e dell’associazionismo una serie di organismi che fanno tutt’altro e che per noi diventano concorrenza sleale”.

Le cinque realtà sottolineano dunque che Stato ed enti locali devono attivare rapporti di collaborazione con le formazioni sociali attive del territorio che, in assenza di scopo di lucro, esercitano una pubblica funzione, e che le regole devono essere chiare: in particolare – recita il documento – “bisogna risolvere la rappresentanza degli associati in particolare per quelle associazioni che hanno decine di migliaia di iscritti”; bisogna “combattere le finte associazioni” impedendo che “singoli possano costituire associazioni con il solo fine di incassare quote e contributi ignorando gli obblighi di legge” e ancora occorre “introdurre nelle associazioni imprese sociali forme di low profit, ovvero di remunerazione per chi, in qualità di associato, investa fondi per potenziarne il ruolo e lanciarne lo sviluppo”.

C’è poi il capitolo lavoro, che le Linee guida del governo di fatto non menzionano ma che diventa cruciale per le cinque imprese sociali firmatarie di questo contributo: “I nostri organismi – scrivono – creano varie forme di lavoro retribuito, dal lavoratore dipendente a quello occasionale, e la legislazione del lavoro attuale crea spesso conflittualità tra ente e lavoratore, con un aumento del contenzioso e delle spese legali”. Occorre dunque che “si chiariscano alcune posizioni introducendo una forma di contratto nazionale, declinato a livello locale, più adatto alle forme associative”. Nel dettaglio, secondo il documento, occorre “stabilire i limiti delle collaborazioni, sia nella forma sia nella loro durata”, oltre a “stabilire in maniera chiara cosa si fa in qualità di lavoratore dipendente e cosa in qualità di collaboratore”. Ciò anche per impedire che collaboratori (come insegnanti o istruttori) rivendichino dopo anni di collaborazione delle forme di rapporto subordinato quando “è chiaro che non è mai stato” tale. Viene indicato anche che “i collaboratori devono impegnarsi a non esercitare forme di concorrenza sleale” e che serve un “Fondo pensionistico appropriato per tutti coloro che operano nel Terzo settore (dipendenti, collaboratori, membri di direttivi, volontari, ecc.) al fine di garantire loro un futuro dignitoso”.

Quanto al sostegno economico, le realtà evidenziano che “attualmente le forme di credito e di sostegno sono dettate da regole adatte alle società di capitali, aggravate da continue vessazioni come fidejussioni e garanzie che i soci devono sottoscrivere”: occorre dunque “ribaltare il concetto, per cui non è il capitale o il patrimonio economico a stabilire la garanzia ma il capitale umano fatto dai dirigenti, dai dipendenti e dagli associati”. La proposta è dunque che l’accesso al credito e il sostegno economico debba essere “rapportato alla quantità di lavoratori e delle persone attive nell’ente, oltre che ai servizi esercitati”. In un’ottica in cui si dà più importanza all’attività svolta che non alla tipologia di soggetto giuridico che si è.

Nel documento viene segnalata anche la necessità di “semplificare e realizzare una normativa sulle concessioni di immobili di proprietà demaniali o comunali per offrire la possibilità a tutte le realtà “non profit” esistenti e future, di poter crescere e sviluppare il proprio futuro con la riqualifica e la ristrutturazione di aree in degrado”. E’ quest’ultima un’esperienza in modo particolare vissuta da Explora, il museo dei bambini che ha avuto nel 2001 in concessione un ex deposito Atac in disuso sulla via Flaminia e ha proceduto negli anni ad una vera e propria riqualificazione dell’area per qualcosa come circa 10 mila metri quadrati: Explora oggi non ha alcun finanziamento pubblico e i ricavi sono dati al 67% dalla biglietteria (esente Iva), per il 14% dagli sponsor (Iva non esente) e per il 10% da bandi europei, nazionali e locali ai quali la onlus (che è cooperativa sociale ma anche un’impresa sociale) partecipa.

Infine, un appunto sul ruolo dell’Authority del terzo settore, definita “necessaria soprattutto per vigilare sulle effettive funzioni degli Enti non profit, sull’applicazione e sul rispetto delle regole onde impedire elusioni fiscali”. Per le cinque imprese sociali essa dovrà anche “vigilare sulle forme di lavoro all’interno degli enti non profit al fine di impedire abusi da parte dell’ente oppure pretese anacronistiche da parte dei collaboratori”, mentre viene definita “auspicabile” la creazione di un elenco ufficiale delle onlus, imprese sociali, coop sociali e associazioni. (ska)

Da redattoresociale.it


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21