Salvador, la melanina del Brasile

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Non è un caso, che l’Arena Fonte Nova, a Salvador da Bahia(la Germania ha esordito qui, battendo 4-0 il Portogallo)si erga proprio davanti al laghetto di Dique Do Tororò, dove galleggiano le gigantesche statue de gli Dei Orixàs, simbolo del Candomblé (il culto brasiliano che si rifà ai riti Yoruba nigeriani, venati di cattolicesimo). Calcio e Culto, da sempre, le icone sacre del Brasile.
“O Fùtbol”, per la prima volta nella storia del Paese, fu anche il pretesto, durante la Confederation Cup di giugno 2013, anticamera dei Mondiali in corso, dell’ondata di tumulti popolari, che attraversò in lungo e largo il Brasile, portando sulle piazze quasi due milioni di persone, che si opponevano al rincaro dei trasporti; simbolo di quel liberismo economico che, con la sua ricetta a base di tagli sui servizi pubblici, sanità e scuola privatizzate, ha stravolto il corpo sociale brasiliano; allora le forze dell’ordine furono colte di sorpresa; oggi, i battaglioni della polizia militare, presidiano tutte le città che ospitano l’evento, e reprimono duramente le proteste.
La settimana scorsa, a Salvador, i poliziotti hanno disperso centinaia di persone, con gas e pistole taser. Quello che segue, è un mio pezzo, scritto di recente, che analizza le cause di questo malessere, che sta peggiorando. E la città è divisa in due, chi ce la fa e chi no. “Chi no”, guarda caso, ha sempre il colore sbagliato della pelle.

(Da Alias)
Pelourinho, la Città Vecchia.

Di giorno, un caleidoscopio di colori, esaltato nelle viuzze che costeggiano la Chiesa di San Francesco, ricorda un po’ Via Margutta a Roma.
Con la differenza che gli artisti espongono le loro opere sulla strada; una pittura semplice, però geniale nelle forme e vivida nei colori. Il Pelourinho non è solo il centro storico di Salvador, bensì potrebbe essere considerato tale di tutto il Paese; difatti qua si insediò nel 1549 Tornè de Sousa, il primo governatore della monarchia portoghese, che lo battezzò così, per via di una colonna di pietra eretta al centro della piazza principale, utilizzata per legarvi schiavi ribelli e malfattori.

Il quartiere, reduce da un violento processo di degradazione a causa della modernizzazione de la città, aveva già ritrovato la sua gloria antica, grazie al riconoscimento da parte dell’Unesco, avvenuto nei primi anni 80’, come patrimonio mondiale dell’Umanità, che aveva facilitato l’opera di ristrutturazione degli splendidi edifici coloniali.
La notte, i neri baiani erano gli animatori, complici con i turisti, dei vari ristorantini, che offrivano i piatti originali della comida locale, a prezzi più che abbordabili.
Ogni baretto, con un po’ di spazio disponibile all’aperto, diventava, intorno alla mezzanotte, una balera, dove donne bellissime si sfidavano a colpi di samba.

“Refugium peccatorum” per eccellenza, caipirinhas e capiroskas scorrevano a litri, si peccava, ma senza violentare il portafoglio più di tanto….oggi, il quadro è cambiato, il quartiere la notte è più pericoloso, molte locande a “bom preço”, come Mama Bahia, hanno chiuso i battenti, e la movida salvadoregna si è spostata soprattutto nel Barrio di Rio Vermelho.

Mercato Modelo

Il colossale Elevador (ascensore) Lacerda, che dalla spianata del Mercado Modelo, la fiera dell’artigianato più famosa dello Stato baiano, sale fino alla collina della Città Vecchia, è, come sempre, intasato di visitatori, per cui bisogna attendere; quando è il nostro turno, l’enorme cabina gonfia di gente, ci vomita al secondo Andar (piano) giusto di fronte al finestrone che dà la visuale del porto di Salvador, il più grande dell’America Latina. La prima cosa che colpisce oggi, all’ingresso del Pelourinho, il lezzo di piscio che ammorba l’aria.
La miseria è, per chi non abituato, anzi tutto un malessere olfattivo.
Macerie e lavori deturpano la visuale di un patrimonio storico inestimabile; eppure a poca distanza da qui, da questi vicoli, dove tanti emarginati passeranno un’altra notte, si affittano e si vendono appartamenti di lusso con terrazza vista baia, a prezzi che oscillano dai 56 ai 150 euro giornalieri.
E’ il boom edilizio brasileiro, residenziale e turistico, che ha le sue teste di serie in Fortaleza, nello Stato di Ceara, Recife, capitale di Pernambuco, e Salvador da Bahia per l’appunto. Una distesa inarrestabile di cemento a prezzi prima abbordabili, paragonati all’Europa almeno, anche se negli ultimi due anni hanno subito rincari notevoli; ora sono raddoppiati, in prossimità dei campionati mondiali di calcio nel 2014, e delle Olimpiadi di Rio nel 2016; a Rio, così come Florianòpolis, Capitale dello Stato di Santa Catarina, lo standard dei costi è molto più alto, non lontano dai picchi delle grandi città italiane e francesi.

Il colore sbagliato della pelle
Sào Salvador da Bahia de Todos Os Santos (questo è il nome completo) fu scoperta dal nostro Amerigo Vespucci nel 1501, dopo che Cabral era approdato in Brasile a Porto Seguro due anni prima. E’ stata la prima Capitale brasiliana, per poi cedere il posto a Rio nel 1763, che a sua volta cedette il passo a Brasilia nel 1960. Un po’ per una.
La popolazione è per il 90% circa, di origine africana e amerinda, tre milioni e mezzo di persone, su un totale di quattro milioni.
I bianchi sono meno di mezzo milione, eppure non sembra assolutamente, a giudicare da quello che si vede in giro.
Negli ultimi anni lo sviluppo del Brasile, esploso soprattutto durante l’Amministrazione Lula, ha portato alla nascita di un ceto medio molto agguerrito, che a Salvador si è espresso quasi a livello scandinavo, con quartieri come Ondina e Barra, un modello di efficienza e pulizia.
D’altra parte invece le zone periferiche, e soprattutto le favelas, sono retrocesse a uno standard di vita tipo Africa sub-sahariana.
Questa tendenza si sta accentuando negli ultimi tre anni, dopo che il Brasile ha abbracciato in pieno il credo neo-liberista a livello economico, con la forbice che si è ulteriormente allargata a discapito della maggioranza della popolazione.

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Il giorno a Ondina scorre tranquillo, molto rassicurante direi.

Le strade sono immacolate, sembra di essere in Svizzera, mare a parte, si vedono solo signori agiati o facoltosi che fanno shopping e si allenano in palestre a 80  real giornalieri ( circa 32 euro, il cambio è 1 euro = 2,5 real) e ragazze bionde, elegantissime anche da nude, prendono il sole in piscina.
Gli unici neri e mulatti sono gli addetti alla reception dell’hotel, e i vari lavoranti nei fast food, tra cui alcuni africani, immigrati dall’Angola e Mozambico.
E’ facile accorgersi dopo pochi giorni, che la spiaggia a Salvador non fa parte delle frequentazioni dei “progrediti”; difatti gli unici bagnanti sulla “Praia” che fronteggia l’albergo, sono afro, soprattutto nel weekend, quando le note dell’Axè baiano, una sorta di hip hop alla brasiliana, e le leccornie cucinate dalle donne del Candomblè, quali l’Acarajè (pasta di fagioli racchiusa in una specie di crocchetta) e la Moqueca de peixe e camarao (una sorta di “paella” locale) saturano l’aria di suoni e aromi.

Sono l’unico bianco quaggiù, osservato come un pesce raro in un acquario.  Muito legal, diciamo così.
La notte il trend muta di nuovo; i ristoranti nel quartiere di Barra, sede del Farol, il faro forse più famoso del Brasile, circa 22 metri, fanno venire l’acquolina in bocca, ma sono carissimi. Per una cena a base di pesce, se ne partono di media 50/60 euro a coppia, circa tre volte tanto, rispetto a qualche anno fa.
Una Caipirinha oggi oscilla tra una media di 8/10 real, contro i tre del 2008.
Bianchi ovunque, e alcuni gruppi di transessuali, bianchi anche loro.
Neri e meticci sono a servire ai tavoli e in cucina.
Posso immaginare con quali sostanze condiranno i piatti dei clienti arroganti, per cui basso profilo e nessuna lamentela.

Oggi lo stipendio medio di un lavoratore a Salvador, camerieri, muratori, infermieri, oscilla dai 200 ai 300 euro mensili. Un insegnante della scuola pubblica arriva ai 350 euro.
Con queste cifre da capogiro, nessuno di loro può permettersi di spendere per una cena, anche con i bambini dai nonni, l’equivalente di venti giorni di paga. Dopo la crisi del Pelourinho notturno, oggi i divertimenti post comida, si sono trasferiti al barrio del Rio Vermelho, quartiere residenziale dei ceti medio-alti, famoso per essere il regno della Dinha da Acarajè, una baiana astutissima che ha iniziato a preparare l’Acarajè Sacro da quando aveva sette anni, con la ricetta originale tramandata dai riti candomblè.

E’ lei, con i suoi collaboratori, l’unica nera che si vede la sera quaggiù, oltre ai musicisti e ai camerieri, ma c’è da scommetterci sopra, che ha più soldi dei tanti pseudo ricchi che spendono e spandono.
Vestita del classico completo bianco, dal candido turbante, la Dinha (pron, “Gina”) impasta fagioli e macina dineirho, alla faccia dei bianchi in fila indiana.
L’occasione è speciale, perché accanto al padiglione/bar dell’Acarajè, stasera si esibisce in un concerto di bossa nova nientepopodimeno che il cugino di Caetano Veloso, con la sua band…in verità è più una riunione tra amici, che avviene all’interno di una casa privata, con la cucina trasformata in bar…in una stanza di non più di 50 metri, stipati come sardine. Il pavimento è imbrattato di birra, e cocci taglienti, lasciati dai nostri raffinati ospiti, sono ovunque, mentre un patetico ventilatore cerca invano di rinfrescare l’ambiente…ma quando la musica inizia, la forza delle note annulla calori e squallori, e la gente si scatena, donne e uomini si baciano sulla bocca, musicisti compresi, i brasiliani sono gente calorosa, bianchi o neri, condividono almeno gli stessi modi per esprimere sentimenti e passioni. Si va avanti fino all’alba inoltrata.

Però di neri, tanto per cambiare, nessuna traccia, oltre ai soliti addetti ai lavori.
Allo Shopi Barra, “sancta sanctorum” del consumismo di Salvador, le cose sono radicalmente cambiate, rispetto a qualche anno fa.
Un tempo le merci erano abbordabili, anche per capi di vestiario di marca.
I reparti di gastronomia americani, indiani e italiani ci tentano da tutti i lati, ma i prezzi sono proibitivi per una famiglia media brasiliana non “sviluppata”.
I gelati costano cifre assurde anche per noi, una coppa di tre gusti arriva a 10/12 euro, un trancio di pizza cinque, un panino tipo Sub quasi dieci.
Reparto vestiario: un completo per ragazza, 50 euro.
Un paio di scarpe da uomo, quasi 100.
Non vedo traccia di offerte scontate.
Non vedo traccia di coppie o famiglie afro.
Il bianco vince, il nero perde, ancora una volta.
Ancora per quanto?

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I Neri, finalmente

Dall’aeroporto si arriva, dopo un breve tragitto in taxi, ai quartieri popolari.
A Mar Brasil ti accorgi che qualcosa non quadra già lungo la strada.
L’autista sbaglia svolta, e per tornare indietro si addentra in un dedalo di viuzze. L’asfalto è spaccato ovunque, buche come crateri costringono l’auto a uno slalom senza fine. L’illuminazione è scarsa, l’atmosfera equivoca.
Per mangiare si segue un percorso obbligato; pizzerie che fungono anche da minimarket… gli avventori, tutti neri, mi guardano in cagnesco. La pizza ha un sapore strano, gommosa al punto giusto, ma a prezzo modico se non altro.
Fuori sulla via, cumuli d’immondizia dappertutto, arrivano fino ai marciapiedi, non c’è modo di evitarli, ci inciampi sopra per forza.
Un solo cassonetto, sfondato, nel raggio di un chilometro almeno. Dietro l’angolo, una marea umana in movimento. I neri di notte, finalmente! E’ sabato sera, le ragazze sono in ghingheri, gli uomini con il petto gonfio, si dirigono verso le baraccas sulla spiaggia. Sulla litoranea i rifiuti sono così numerosi, che arrivano a formare collinette. Un odore nauseabondo, dolciastro, di monnezza in putrefazione, una puzza di morte, qui saranno settimane che i mezzi della nettezza urbana, dal passaggio quotidiano a Barra e Ondina, non si fanno vedere. La gente ride, sono abituati a questo sconcio fin dalla nascita, non ci fa caso, si ubriacheranno tutti a manetta stanotte di cachaça pura, fino a crollare.

Il Barrio limitrofo di Stella Mària offre lo stesso quadro, qui non ci sono turisti o brasiliani “progrediti”, per cui chissenefrega.
Il lixo rimane una delle piaghe brasiliane, che affligge prevalentemente i ceti poveri, sebbene l’opera di riciclaggio sia ai vertici mondiali.

Privatizzazione dei servizi

La Sanità di Salvador oggi è in mano prevalentemente di banche e gruppi finanziari, che eleggono loro rappresentanti negli organismi statali; molti ospedali pubblici nello sfascio totale, con interi reparti eliminati, e code chilometriche di persone che sono costrette ad aspettare anche giorni per ricevere cure mediche frettolose e approssimative.
Per accedere ai servizi delle cliniche private, bisogna stipulare un accordo con i suddetti enti per un Piano Salute. Quello basico, il più economico, prevede i seguenti costi mensili: 68 euro ciascuno per moglie e marito, 37 euro ogni figlio del nucleo familiare. Queste tariffe consentono l’ingresso presso nosocomi di livello base, senza poter usufruire di cure specialistiche avanzate.

A tal fine, le cifre raddoppiano, per cui un nucleo di sei persone, che costituisce la tipica famiglia brasiliana dei ceti bassi, si troverebbe a sborsare circa 550 euro mensili, assurdo per l’entrata media di questa che, bene che vada, se entrambi i coniugi lavorano, arriva a 500 circa.
Salvador possiede l’ospedale per la cura del cancro più avanzato del Brasile, l’Aristide Maltez, un ente filantropico che si regge su sovvenzioni private e delle Ong locali; causa la crisi globale e i tagli statali ai contributi sociali, oggi questo nosocomio rischia di chiudere, gettando nel panico i poveri, che ancora possono usufruirne gratis. L’unica boccata di ossigeno da parte dello Stato, è quella degli assegni familiari per le famiglie indigenti, nell’ordine di 30 euro a figlio.
La scuola pubblica ha vissuto due mesi di panico, per via dello sciopero degli insegnanti, che protestavano contro i cumuli di straordinario non pagati, su un salario base di 350 euro mensili.
Gli edifici e le aule sono, per la maggior parte, in condizioni fatiscenti, la pioggia filtra dai soffitti, mentre proliferano gli istituti privati per figli d’imprenditori e professionisti, che pagano rette oscillanti dai 450 ai 600 euro mensili, in prevalenza bianchi ovviamente, così da formare i quadri dirigenti del futuro.
I libri di testo sono a pagamento, il più costoso, il sussidiario generale, che comprende diverse materie, al costo di 320 euro.
A marzo del 2012, la serrata degli agenti di polizia, estesa lungo tutto lo Stato di Bahia, aveva provocato il record nazionale di crimini e omicidi, con un picco annuo di 3000 vittime.
I supermercati sono rincarati, 1 Kg di fagioli tre euro, due per un pacco di pasta, carne e pesce improponibili.
In seguito a questi aumenti del costo della vita, il fenomeno delle carte di credito/debito, emesse dagli stessi gruppi che oggi controllano Sanità e Istruzione, è diventato una vera e propria piaga del Paese.

Sventolando davanti al naso della povera gente la carota dell’innalzamento del credito, questa oggi si trova indebitata in un modo pauroso nei confronti delle finanziarie, che, per riscuotere, pongono ipoteche sulle case e minacce di vario genere, arrivando a bloccare i loro miseri salari, quando necessario.

In questo quadro negativo, superstizione e gioco della lotteria prendono il sopravvento; la gente comune preferisce investire i propri risparmi in una sorta di gioco d’azzardo per poveri, costituito da Lotto e Bingo, tentando la fortuna, che non riescono a trovare nel cosiddetto Paese delle Opportunità, che sono tutto meno che Pari, per loro almeno.
Le cerimonie del Candomblè, sono raddoppiate negli ultimi anni; la gente di Salvador, cerca conforto in queste pratiche, che alleviano le loro sofferenze.

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Questo processo di “apartheid silenziosa” che, senza bisogno di divieti ufficiali, sta tracciando una dicotomia netta nella popolazione, tutta basata sul possesso del denaro, è in corso progressivo lungo il Brasile.
A Rio, rispetto a una volta, è molto evidente, basta farsi una passeggiata sulle spiagge di Copacabana e Ipanema, che fronteggiano il mitico Pào de Açùcar.
Però nel Sud i neri sono una minoranza, e anche se l’ingiustizia sociale rimane tale, nel caso di Salvador, che è nera per 3/4, diventa clamorosa.

La Capitale di Bahia è oggi la perfetta sintesi della “città globale” dei nostri tempi equivoci; una maggioranza di persone che vive ai margini di un progreso, decantato come sacro dogma del genere umano, e una minoranza di privilegiati che, da questa stortura, spacciata come sviluppo, trae i massimi benefici possibili.

* Salvador da Bahia – Brasil


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