Una delegazione dell’organizzazione umanitaria, martedì scorso alla Commissione straordinaria per i diritti umani al Senato: Ttroppo poco è stato fatto per una crisi che assomiglia pericolosamente a quella del Ruanda.
Dimenticata da tutti, come spesso accade con i conflitti africani. Nonostante le centinaia di morti, le centinaia di migliaia di sfollati e l’aspettativa di vita – 48 anni – più bassa del mondo. La Repubblica Centrafricana, giunta alla sua terza guerra civile nel giro di appena 10 anni, affronta una crisi umanitaria senza precedenti: nel regno delle milizie che da più di un anno si contendono le spoglie di questa ex-colonia francese ricca di diamanti, a farne le spese sono sempre i civili, bersagli indistinti di razzie e di violenze. E gli operatori umanitari, impossibilitati a svolgere il proprio lavoro dalle circostanze sul campo, sono diventati vittime anche loro. Ora si rivolgono alla comunità internazionale: due giorni fa Loris De Filippi e Gabriele Eminente, rispettivamente presidente e direttore generale di Medici Senza Frontiere, hanno rivolto il loro appello alla commissione straordinaria per i diritti umani del Senato perché l’Italia, prossima alla presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea, mobiliti l’UE per garantire protezione urgente alla popolazione civile e agli operatori umanitari in Repubblica Centrafricana.
“Ho lavorato molti mesi in Repubblica Centrafricana – ha detto Loris Filippi davanti alla Commissione presieduta da Luigi Manconi – Le persone muoiono ogni giorno. Curiamo migliaia di feriti e vediamo centinaia di migliaia di persone in fuga perché è la loro unica possibilità di sopravvivere. Abbiamo un senso di impotenza di fronte alla violenza estrema che colpisce i civili, pazienti e operatori umanitari. E’ una catastrofe di massa che avviene sotto gli occhi dei leader internazionali. Occorre agire subito, attraverso una seria azione politica e un sistema di aiuti efficace che garantisca alle persone protezione e assistenza”.
IL CONFLITTO E I CIVILI. La guerra tra milizie rivali – i Seleka musulmani e gli anti-Balaka cristiani – si è radicalizzata dopo il colpo di stato che nel marzo 2013 ha deposto il presidente protetto dai francesi – anch’egli golpista nel 2003 – Francois Bozizé. Al suo posto si era insediato Michel Djotodia, trasportato da folle di miliziani musulmani (sia centrafricani che ciadiani e sudanesi) provenienti dal nord del paese – tradizionalmente dimenticato da Bangui – dove vive quel 20 per cento di popolazione che professa la fede islamica. Subito la situazione politica è degenerata sotto i colpi delle vendette e delle depredazioni, e a pagarne il prezzo più alto sono stati i civili: colpiti nel fuoco incrociato prima, vittime della follia assassina poi. Thomas Courbillon, capo della missione MSF – France a Bangui, aveva testimoniato il cambiamento di rotta delle violenze raccontando che “dopo un primo periodo in cui le persone arrivavano negli ospedali con ferite d’arma da fuoco, c’è stato un aumento delle ferite da arma bianca e da linciaggi”. Lesioni e mutilazioni da machete sono all’ordine del giorno: da gennaio ad aprile MSF ha trattato quasi 3.500 persone con ferite da attacchi violenti.
LA POPOLAZIONE IN FUGA. Le milizie razziano e saccheggiano, e la popolazione in fuga è aumentata vertiginosamente negli ultimi cinque mesi: ora gli sfollati sono circa 900 mila (quasi il 20 per cento della popolazione), di cui 600 mila interni e 300 mila rifugiati nei paesi limitrofi, dal Ciad ( fino al 12 maggio scorso, quando N’Djamena ha deciso di chiudere le frontiere) al Camerun, dal Congo Brazzaville alla Repubblica democratica del Congo. L’accesso al sistema sanitario, già irrimediabilmente compromesso prima della guerra civile, ora non esiste più: si pensi che 129 bambini su 1000 muoiono prima di aver compiuto 5 anni, soprattutto per malnutrizione cronica, malattie diarroiche, morbillo e meningite. Le fughe dei civili, nascosti per giorni – se non per mesi – nella boscaglia, come ricostruito dalle testimonianze raccolte dall’Alto Commissariato per i rifugiati in Camerun, limitano ancora di più l’accesso alle cure.
GLI ATTACCHI A MSF. In Repubblica Centrafricana dal 1997 MSF, con i suoi 21 programmi e i suoi 2.300 operatori, sopperisce assieme alle altre organizzazioni umanitarie alla carenza di cure propria del paese: solo da gennaio a fine aprile ha effettuato circa 387 mila visite ambulatoriali (di cui 134 mila per la malaria) e ha ricoverato 10.600 persone. Ora, però, sembra essere diventata il nuovo bersaglio delle milizie di entrambe le parti: dalla fine del 2012 a oggi Ha subito 116 incidenti di sicurezza. Il 26 aprile scorso un ospedale MSF a Bougila è stato attaccato: le vittime tra i civili sono state 18, tra cui tre operatori MSF. All’inizio di giugno alcuni uomini armati sono entrati nella casa di MSF a Ndélé, nel nord del paese, per una violenta rapina a mano armata. Javier Eguren, capo missione per la Repubblica Centrafricana, era stato chiaro: “Restiamo determinati a fornire aiuti medici alla popolazione, ma a fronte di condizioni minime di sicurezza che le parti coinvolte nel conflitto devono rispettare. Se queste vengono a mancare, non possiamo svolgere il nostro lavoro”.
LE RICHIESTE AL SENATO. Per questo, martedì scorso i due rappresentanti di MSF hanno presentato quattro richieste alla commissione del Senato: innanzitutto, serve una forte azione politica a supporto dell’azione di peacekeeping per garantire la protezione della popolazione civile. La proposta è quella di organizzare un summit nella regione, al fine di bloccare la proliferazione di gruppi violenti e di far arrivare i gruppi armati a un’assunzione di responsabilità, di modo che controllino le proprie truppe. In secondo luogo, i confini devono rimanere aperti per consentire i movimenti di rifugiati, che vedono nell’esilio l’unica possibilità di sfuggire alla violenza. Qui MSF punta il dito contro il Ciad, reo di aver chiuso le frontiere in faccia a Bangui il 12 maggio scorso; senza dimenticare che proprio N’djamena ha fornito gran parte dei suoi mercenari all’esercito musulmano dei Seleka (un terzo delle milizie), dopo aver “improvvisamente” smesso di proteggere l’ex padrone della Repubblica Centrafricana Bozizé.
Bisogna poi mantenere una chiara distinzione tra pratiche civili e militari per evitare la confusione dei due piani. Occorre infine, secondo MSF, che le agenzie umanitarie vengano maggiormanete sostenute dai paesi donatori di modo che possano aumentare il loro livello di assistenza. In questo senso, richiamando la prossima presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea, MSF sottolinea il problema del finanziamento dell’ECHO (l’ufficio della Commissione europea per i diritti umani), che negli ultimi mesi ha visto crescere l’incertezza dei finanziamenti da parte degli stati membri. Fa’ specie il fatto che, sebbene la Repubblica Centrafricana sia ora al centro di diverse agende internazionali, solo un terzo dei 565 milioni di dollari stimati necessari è stato finora finanziato.
LA RISPOSTA INTERNAZIONALE. Nonostante cominci a farsi largo lo spauracchio del genocidio ruandese e il consiglio di sicurezza dell’Onu abbia autorizzato un intervento francese (missione Sangaris) poi sostituito da una missione dell’Unione Africana (Misca), MSF ha ribadito in Senato il fallimento degli sforzi internazionali per proteggere la popolazione e rispondere ai bisogni più elementari delle persone, come acqua, cibo e riparo. C’è una sostanziale mancanza d’impegno e mobilitazione da parte dei leader politici del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e un impegno troppo limitato da parte dell’Unione Africana. Il livello di assistenza – denuncia MSF – è stato pessimo nella capitale Bangui, inesistente nel resto del paese e sotto gli standard minimi internazionali nei paesi limitrofi.
“Con la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea – ha dichiarato Gabriele Eminente – l’Italia può avere un ruolo attivo nell’orientare l’agenda internazionale. Chiediamo il supporto delle istituzioni italiane nel mobilitare la comunità nazionale e internazionale, affinché si faccia carico della gravissima crisi in atto in Repubblica Centrafricana e sia garantito il necessario spazio umanitario”.
Da perlapace.it