Quando il gioco si fa duro… “Grillo si arrende e tratta”, scrive Il Giornale. La Repubblica sottolinea come i rapporti di forza siano rovesciati, perché se Grillo apre, Renzi risponde: “Sì al dialogo ma in streaming”. “Dialogo e sospetti”, per la Stampa. Ma il Corriere della Sera osserva che c’è un po’ troppa carne sul banco del macellaio e un eccesso di confusione sotto il cielo. Dalla promessa semplificazione fiscale alla riforma della pubblica amministrazione, ai pagamenti promessi alle imprese e alle attese suscitate dal suono salvifico del jobs act, e poi nomine, la riforma del Senato, la nuova legge elettorale! Troppa grazia: “La strada in salita delle riforme”. Sulle ragioni che avrebbero indotto Grillo e Casaleggio a cambiare verso alla loro politica, Ilvo Diamanti annota “La paura della solitudine”. E ha certamente ragione. Ma sarebbe sbagliato considerare puramente difensiva la mossa dei due leader a 5 Stelle. Si ricordi che Renzi ha appena chiuso la bocca a ogni contributo critico dall’interno della maggioranza usando un argomento: sulle riforme con Berlusconi tratto io. Ora Grillo gli dice: tratta pure con me. E proprio mentre Berlusconi torna a vedere i suoi fantasmi. Venerdì si apre il processo d’appello per il bunga bunga, con una sentenza di primo grado a 7 anni. Beppe, dunque, prova a infilarsi fra Matteo e Silvio. E cercherà di presentarli come autori di un patto scellerato, fautori di una legge elettorale tanto maggioritaria da sembrare incostituzionale, e di una riforma del bicameralismo che toglie diritto al parlamento per consegnarli al governo. C’è infine un nesso (qualcuno lo ha notato) tra la durezza estrema usata da Renzi con la minoranza interna e questa “mossa” del Grillo. A entrambi conviene che tra M5S e Pd ci sia una desolata terra di nessuno. I senatori fuoriusciti dal movimento di Grillo e il drappello di Sinistra Ecologia e Liberta, ora che la dissidenza del Pd è stata asfaltata, Alleluja! E ora che il gioco si fa duro, Luigi Zanda, figlio di Efisio, fu prefetto della Repubblica, si appresta a incontrare i 13 renitenti al renzismo stalinismo, più il paria Mineo. “Devono cambiare i toni”, ha detto, no alla scuola di Ghino di Tacco, ha aggiunto. Sarò sincero con il caffè: non la vedo bene. La personalizzazione dello scontro, l’applauso roboante dell’Ergife, l’uso cinico del mio errore dell’altra sera, saranno usati per non rispondere alle obiezioni di merito. Le ricordo quelle obiezioni, per chi ancora ama la verità. 1) È vero o è falso che d’ora in avanti nelle Commissioni si potrà esprimere solo il punto di vista del Partito e non quello del parlamentare? 2) Vero o falso che il dibattito nel gruppo del Pd è stato istruito male e che si è evitato di votare sul punto più “divisivo”, e cioè che i futuri senatori dovranno essere i sindaci e i presidenti di regioni? 3) È vero o è falso che il 6 maggio la maggioranza ha regalato una vittoria a Calderoli perché il Governo, ignorando il dibattito parlamentare, non ha voluto cambiare neppure una virgola del suo testo base? 4) Infine, è falso che una gran parte dei senatori Pd non condivida il combinato disposto della legge elettorale scaturita dal patto del Nazareno e approvata in prima lettura dalla Camera? Giuliano Ferrara mi definisce “orripilante, povera e triste anima querula”. Non mi sorprende: era un giovanotto, Ferrara, quando sotto i miei occhi (Valentino Parlato mi aveva chiesto di essere indulgente con lui) brandiva i bastoni di un presunto servizio d’ordine comunista contro gruppi di giovani irregolari. Ed era un uomo ancora giovane quando salì sul palco, accanto a una finta piramide, per gridare l’anatema contro il Tg3: “Tele Kabul!”. Ma poi, dopo cena, il suo capo Craxi Ghino di Tacco si fermò mezz’ora buona a parlare con me, mentre i cortigiani attendevano in piedi, sull’uscio. Mi conosce da tempo, Giulianone, e non mi ama, come tanti che, nel giornalismo e in politica, hanno cantato le lodi del padrone di turno. E poi via, il generoso Elefantino alla fine del suo pregevole “pezzo” scrive come non ci sia dopotutto niente di di troppo grave nel definire autistico chi non sa ascoltare. A questo punto però mi arrabbio. Ho sbagliato a parlare in pubblico in quei termini, della vicenda politica e chiesto scusa. Però non ho usato la parola “autistico” come un insulto. Questa se l’è inventata Renzi perché gli conveniva. Semmai ho usata l’autismo (a sproposito) per dire a chi non lo capisce – secondo me Maria Elena Boschi – che il premier ha una dote straordinaria e sorprendete. È capace di tenere insieme la complessità nella politica proprio come certi bambini super dotati sanno risolvere un problema matematico complesso. Ho anche detto che il premier legge poco: non avrei dovuto farlo e spero che il Premier mi smentisca presto mostrando di aver appreso come la Costituzione debba essere un bene non disponibile per qualsivoglia maggioranza di governo. Ho fatto una battuta sulla parità di genere e la mia colpa è di non averla spiegata. Perché io tra una donna e un uomo in Parlamento constato come di solito la donna abbia più benzina e lavori meglio e ho sostenuto la scelta delle capo liste tutte donne alle Europee. Penso però che la retorica sulla parità di genere stia diventando nel Pd una sorta di simulacro del politicamente corretto, e persino un mezzo per nascondere altre malefatte e riprodurre, con l’accoppiata con una donna, le carriere di cacicchi, magari pure misogini. Insomma basta. Quello che ho detto, e mi rammarico di averlo detto, non giustifica il fiume di insulti che il Premier mi ha scagliato addosso. Sono io ora a dirgli: vergogna! Per stravincere, hai scatenato una canea urlante, che pretende sia l’obbedienza che il sangue dei vinti. Qualcosa, caro Renzi, che somiglia da vicino alle tricoteuses sguinzagliate in rete da Casaleggio. Che ingannano il tempo all’ombra della ghigliottina in attesa di veder rotolare le teste.
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