Padre Paolo Dall’Oglio non è tornato indietro, non ancora, la sua voce, soffocata e tenuta prigioniera dal 29 luglio del 2013, è scomparsa dalla scena pubblica, il suo ragionare appassionato è stato sepolto nel caos della guerra siriana diventata nel corso degli ultimi 11 mesi quasi un principio di guerra totale in Medio Oriente. Reclamiamo ancora la sua liberazione ben consapevoli del rischio che corre, del fatto che potrebbe essere stato ucciso o aver subito ricatti ed essere stato vittima di aggressioni e sofferenze, che potrebbe essere stato scambiato o venduto da un gruppo armato all’altro, passando da una parte all’altra di un quanto mai incerto fronte. Secondo le voci fluttuanti provenienti dalla Siria, il fondatore della Comunità di Mar Musa si trova nelle mani del famigerato Isil, l’Esercito dell’Iraq e del Levante che infiamma la regione sotto gli occhi del mondo. Se non sono loro è una formazione affine, un sottogruppo fra le tante formazioni di briganti senza causa ma in cerca di denaro e padroni generosi, che si muovono nell’area. Se di tale sostanza è fatta la nube tossica che circonda la vicenda, dobbiamo allora ricordare ancora una volta quale fosse l’intenzione, mi viene da dire la scelta di vita, di padre Dall’Oglio. Perché non è possibile restare nel generico sentimento della pur necessaria buona volontà, del primum vivere che pure resta un principio sacro.
Dall’Oglio credeva in una possibilità: costruire una Siria libera, democratica, pluriconfessionale, fondata sulla sua tradizione di convivenza, sulle sue etnie, culture e storie differenti, e sui principi dei diritti dell’uomo, una Siria in cui il cristianesimo profetico delle Beatitudini e dell’amore incontrava un Islam reale – e non solo teorico – cancellato dal fondamentalismo. Dall’Oglio è stato ed è un avversario impavido del regime di Assad e dei gruppi islamisti più sanguinari, la sua voce rompeva la menzogna del male minore – l’accettazione della dittatura di un Assad con le carceri piene di migliaia di detenuti torturati e uccisi pur di non cedere al fondamentalismo – e si opponeva a chi brandiva il Corano come fosse una scimitarra con la quale spargere terrore.
Troppo solo, certo, per nemici e interessi che vanno da sempre oltre la Siria, per una realpolitik americana che guarda ora all’estremo oriente e si disinteressa del mondo arabo, per una rivoluzione, quella siriana, che non ha espresso in tempo un leadership adeguata e forte. Dall’Oglio era egli stesso una chance di quella leadership: un gesuita, un cristiano, altamente stimato e benvoluto in Siria (dove stava da circa 30 anni) e noto a Roma, un uomo che rompeva con lo schema dell’alleanza, nei Paesi del Medio Oriente, fra vescovi e autocrati in nome della lotta ad al Qaeda.
Il gesuita padre Dall’Oglio è scomparso 11 mesi fa, e oggi mentre continuano i bombardamenti disumani del regime di Assad sulle sue stesse città, mentre bande armate con il volto coperto imperversano fra Iraq e Siria, la sua testimonianza appare non solo profetica, ma quasi una denuncia delle corresponsabilità che ci stanno travolgendo. In questo contesto parossistico l’Iran degli ayatollah diventa, incredibilmente, un possibile pacificatore del Medio Oriente; quegli stessi ayatollah contro i quali per due volte i giovani iraniani hanno provato a ribellarsi rimanendone schiacciati. Altrove brilla la cadente monarchia saudita, ricca, autocratica, ingorda. E poi Mosca, Bruxelles, Washington, naturalmente. Ma su tutto resti il pensiero della vita di questi fratelli arabi, di queste decine, centinaia di migliaia di esseri umani che continuano a morire ingiustamente, travolti da una contesa di poteri feroci che tocca pure il Libano di Hezbollah e l’Israele di Ntanyahu. Dove sono finiti ‘i nostri’? Quando arriva la cavalleria, quando parleranno gli uomini di pace? A noi resta – e attenzione non è poco – il dovere di testimoniare fino in fondo il messaggio di padre Dall’Oglio mentre chiediamo al governo italiano di andare in Siria o dovunque sia necessario per reclamare la liberazione di questo nostro concittadino, di prendere con coraggio ogni iniziativa necessaria per farlo tornare a casa.