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Lettera di diffida al Cda Rai affinchè non si proceda alla vendita anche parziale di Raiway e impugni nelle sedi competenti l’art. 21 D.L. 66/2014

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Al Presidente della Rai Anna Maria Tarantola
Al Direttore Generale Luigi Gubitosi
Ai Consiglieri del Cda Rai

Gherardo Colombo
Rodolfo de Lauretiis
Antonio Pilati
Marco Pinto
Guglielmo Rositani
Benedetta Tobagi
Luisa Todini
Antonio Verro

Al Direttore Affari Legali Salvatore Lo Giugice

p.c. al Presidente della Commissionr di Vigilanza Rai Roberto Fico

Com’è noto, il d.l. 66/2014 ha disposto all’art. 21 la non corresponsione alla RAI S.P.A. di parte del canone radiotelevisivo per l’anno 2014, nella misura di 150 mln di euro, prevedendo a tal fine che Rai possa alienare una quota della consociata RaiWay fino alla totale alienazione con modalità che vengono affidate al Presidente del Consiglio (così come previsto dal comma 3 del suddetto articolo). Si tratta di facoltà che minano alla base l’essenza stessa del servizio pubblico radiotelevisivo e che compromettono non solo la solidità economica dell’azienda ma anche la prospettiva di un rinnovo per legge della concessione che scade nel maggio 2016.
La RAI attualmente “vegeta” a causa di una governance regolata da una legge Gasparri che, come affermato dalla Corte Costituzionale, la rende priva dei valori di indipendenza economica e finanziaria tipiche di un servizio pubblico radiotelevisivo di caratura europea.
Anche la Comunità Europea, infatti, ha ripetutamente stigmatizzato l'”anomalia italiana”, affermando infatti che: “si determina un assoggettamento delle decisioni aziendali ai voleri dei partiti di riferimento, (Rai) ha inoltre subito negli ultimi anni una serie di interventi che ne hanno seriamente minato le capacità competitive ed economiche nonché la credibilità pubblica”, al punto che il canone è la tassa più invisa (e ciò non per colpa delle maestranze e dei dipendenti che giorno dopo giorno assicurano il proprio lavoro con la dovuta professionalità).
Si aggiunge poi l’ultimo clamoroso atto, la lettera del Direttore Generale dell’Unione Europea di Radiotelevisione, Ingrid Deltenre, indirizzata al Presidente Napolitano che  ammonisce sul
“prelievo forzoso che viene effettuato sull’esercizio in corso, non lasciando praticamente nessun margine di manovra per il management dell’azienda per recuperare in corso d’opera. Mai qualcosa di simile era accaduto in un paese dell’Unione Europea e i soli precedenti da noi conosciuti sono avvenuti in paesi dei Balcani assolutamente non comparabili con la tradizione democratica dell’Italia. Questa decisione ha un impatto diretto sulla libertà e l’indipendenza del Servizio Pubblico italiano, che è garantita, a livello europeo, dall’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”

A titolo di esempio (un elenco solo indicativo e non già esaustivo):
– il famoso caso “Europa7”, ovvero il network privato che a livello europeo (Alta Corte del Lussemburgo) e italiano (Consiglio di Stato) vinse la causa contro Retequattro-Mediaset per l’assegnazione delle frequenze TV e che, a quanto appreso da notizie di stampa mai smentite, sarebbe stato risarcito non da Mediaset, di proprietà del Presidente del Consiglio Berlusconi, ma da RAI attraverso la cessione di frequenze utilizzate dalla rete “ammiraglia” RAIUNO. Tutto questo nel silenzio connivente e complice di manager Rai che avrebbero avuto il dovere di opporsi e impugnare una tale scellerata decisione del Governo;
– l’imposizione esterna, quale Direttore Generale, di Alfredo Meocci, costata alla casse aziendali 15 milioni di euro, mai recuperati per una evidente incompatibilità e come tale sanzionata dall’Agcom e ulteriormente confermata dal Tar e dal Consiglio di Stato;
– il mancato rinnovo del contratto Rai-Sky e la rinuncia del vertice Rai all’offerta di Murdoch di 350 milioni di euro per 7 anni per il rinnovo del contratto. Ciò al fine di agevolare Mediaset e la piattaforma del digitale terrestre voluta da Berlusconi per tentare di arginare il successo di Sky.       Il Consiglio di Stato ha in seguito condannato la Rai per aver oscurato i canali digitali della tv pubblica sulla piattaforma satellitare di Murdoch, non avendo Rai rispettato gli “obblighi di servizio pubblico e del contratto di servizio (…) e la possibilità per tutti gli utenti di ricevere la programmazione pubblica gratuitamente su tutte le piattaforme distributive”. Per tale vicenda, circa 700 dipendenti Rai hanno depositato un esposto alla Corte dei Conti, sostituendosi, nei fatti, agli amministratori, anche attuali, che ben avrebbero potuto (e tuttora potrebbero) chiedere il conto ai responsabili nelle competenti sedi civili. Va da sé che il recupero di 350 milioni da parte di coloro che hanno provocato un siffatto danno gioverebbe alle casse dello Stato ben più dei 150 milioni di euro ora pretesi col c.d. “Decreto Irpef”.
– infiniti interventi per nomine di manager infedeli in posti strategici (almeno uno dei quali, non si sa perché, anche a seguito di intercettazioni che ne hanno rivelato la condotta, continua a ricoprire ruoli chiave per il destino della Rai) e per la chiusura di programmi di successo.
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Tanto premesso, i lavoratori Rai si dichiarano esasperati dalla condotta di amministratori, direttori e dirigenti che nel tempo, pur retribuiti lautamente dalla Rai, hanno mostrato di conformare le proprie decisioni unicamente ai voleri dei politici di riferimento – in spregio a qualsiasi elementare norma civilistica di buona amministrazione, arrecando con la propria condotta danni ingentissimi al Servizio Pubblico Radiotelevisivo – e ciò anche al fine di assicurarsi la compiacenza degli stessi politici per ottenere altri incarichi alla scadenza del mandato Rai.
Pertanto, con la presente, i destinatari in indirizzo sono:
– A) fortemente invitati ad intraprendere, nel rigoroso rispetto dei doveri di diligenza imposti agli amministratori di società agli artt.2392 ss. Codice Civile, tutte le iniziative legali e giudiziarie per contestare 1) la legittimità costituzionale dell’art. 21 d.l. 66/2014, come già verificata in due distinti pareri pro veritate di riconosciuti costituzionalisti: a tale proposito, non si comprende perchè si sia deciso di richiedere – peraltro con colpevole ritardo – un ulteriore parere al costituzionalista Cheli (quasi che non ci si fidi di quelli redatti dai Prof. Pace e Anais su incarico di Usigrai e Snater); tanto più che in azienda esiste una avvocatura interna istituzionalmente deputata anche al rilascio di pareri legali! 2) richiedere al Governo il pagamento del credito maturato dal 2005.
Consta infatti, da notizie di stampa, che Rai, per volontà degli attuali vertici aziendali, abbia attualmente in corso un giudizio al Tar contro il Ministero del Tesoro per il mancato adeguamento del canone per l’anno 2014:  è difficile comprendere perché si sia intrapreso un contenzioso che ha determinato una perdita per le casse aziendali stimabile in 22 milioni di euro e poi si accetti passivamente un decreto legge incostituzionale che sottrae illegittimamente a Rai circa 200 milioni.
Inoltre, com’è ampiamente noto, dal 2005 Rai è creditrice nei confronti dello Stato di somme pari a oltre 2 miliardi di euro per mancate coperture finanziarie degli obblighi derivanti dal Contratto di Servizio, come da diffida inoltrata dal Direttore Generale p.t. della Rai, Lorenza Lei, nel 2011: elementari norme di buona amministrazione imporrebbero ora decisioni finalizzate alla contestazione anche giudiziale del credito, piuttosto che al pagamento supino e remissivo di ulteriori 200 milioni, richiesti peraltro con un decreto legge incostituzionale. Priva di pregio appare l’affermazione del Direttore Generale in Commissione di Vigilanza Rai che tale credito non sarebbe stato iscritto a bilancio dalle precedenti amministrazioni (fermo restando che tale omissione potrebbe rilevare sotto il profilo della responsabilità civile), considerato che ciò non osta all’attuale accertamento dell’entità del credito maturato;
– B) formalmente diffidati dall’intraprendere o coltivare iniziative finalizzate allo smantellamento o ridimensionamento del servizio pubblico in ambito territoriale e alla vendita, anche solo parziale, di asset strategici per l’Azienda, indebolendola sul piano competitivo anche in previsione del rinnovo della Concessione nel 2016.  E’ noto infatti che ove Rai (attualmente organismo di diritto pubblico) si aprisse alla “privatizzazione”, il rinnovo della concessione non potrebbe più avvenire per legge, ma dovrebbe essere sottoposta a gara.  Gli attuali amministratori hanno l’obbligo legale (nonché di fedeltà) di mantenere inalterato l’attuale status giuridico non depotenziando la competitività dell’Azienda in vista dell’importante scadenza del 2016.
Qualora poi, il ricorso alla vendita di una quota minoritaria di Rai Way (valorizzazione avviata con sospetta velocità) venga giustificato con la necessità di recuperare immediata liquidità (cosa che in realtà contrasta con i tempi comunque non brevissimi della quotazione), osserviamo che l’Azienda può più utilmente e rapidamente ricorrere ad un prestito (dalla Cassa Depositi e Prestiti e anche dalle banche private) o, meglio ancora, intervenire con decisi tagli, nel torbido dei 1.300 milioni di euro di costi esterni (di cui la maggior parte relativi a società in appalto) che ogni anno vengono elargiti alle aziende, anch’esse sponsorizzate dalla politica. Appare singolare poi che in uno degli ultimi consigli di amministrazione, proprio all’indomani dell’emanazione del Decreto Irpef, il Cda – con scarso buon senso considerata la necessità impellente di contenimento dei costi – non si sia risparmiato la nomina di ulteriori quattro vicedirettori a RaiNews (oltre i due già esistenti).
Infine osserviamo che, anche nella seduta ultima della Commissione di Vigilanza Rai, non è stato registrato un solo intervento favorevole all’operazione in corso di quotazione di RaiWay, che determinerebbe la svendita di un asset strategico non solo per Rai ma per l’intero Paese; a maggior ragione non si comprende la pervicace ostinazione con la quale il Cda persevera in questo progetto, una quotazione che il Direttore Generale dichiara di voler concludere “a tempo di record”.

Cui prodest? A chi giova un’operazione che tutti riconoscono come inutile ed estremamente dannosa per l’Azienda?  Perché la mera facoltà di alienazione di quote di società partecipate di cui all’art. 21 d.l. 66/2014 (“la Società può cedere sul mercato, secondo modalità trasparenti e non discriminatorie, quote di società partecipate”) è divenuto un imperativo per il Cda con delibere e atti che dimostrano, una volta di più, la totale e inaccettabile sudditanza dello stesso ai voleri della politica?
Con espressa riserva di ogni azione e ragione nelle sedi competenti con particolare riferimento agli ingenti danni che deriverebbero alla Rai dalla svendita di asset strategici e per i quali non esiteremo a citare in giudizio gli amministratori responsabili ai sensi degli artt. 2392 ss. Codice Civile


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