Ci sono due autori e colleghi universitari con i quali ho da tempo un rapporto di stima e di conoscenza personale, Salvatore Fiandaca e Salvatore Lupo, entrambi dell’Università di Palermo. Il primo è un noto docente di Diritto Penale e curatore di libri di ottimo livello sul fenomeno mafioso, il secondo è autore di una storia complessiva della mafia siciliana che nessuno può ignorare. Ma, nel febbraio di quest’anno, hanno pubblicato per un notissimo editore di saggistica storica un libretto intitolato La mafia non ha vinto che sostiene alcune cose essenziali: la prima è che lo Stato italiano non ha salvato Cosa Nostra e che al processo in corso ancora a Pa lermo (di cui è protagonista, anche secondo le crona che giornalistiche, il sostituto procuratore Nino Di Matteo, dopo che Ingroia ha lasciato la magistratura), si sostiene, invece, che la trattativa non si può negare. Quanto alla reazione stragista dopo la sentenza della Suprema Corte di Cassazione che aveva confermato le condanne contro l’associazione siciliana, Fiandaca e Lupo affermano, nel loro libro, che “la leadership mafiosa è stata probabilmente incapace di calcolare gli effetti delle stragi in preda a una coazione a ripetere che prevedeva un’unica tattica: colpire e poi colpire ancora.” La verità è, come sempre succede, che i due studiosi hanno elaborato una tesi a cui sembrano voler piegare gli avvenimenti.
Nel loro libro, arrivano a sostenere che “l’inclinazione giudiziaria a rileggere gli anni tra il 1992 e il 1994 alla luce dell’influenza esercitata dai poteri criminali rifletta una tendenza semplificatrice, dovuta all’ottica professionale, in qualche misura deformante, della magistratura impegnata nel contrasto alla criminalità mafiosa.” E’ un’accusa molto pesante, esposta dall’alto della cattedra ma è priva della prova che la giustifichi. E’ questa la sensazione che si ricava dalla lettura del libretto di Fiandaca e Lupo. Ma le cose cambiano e molto nel saggio, uscito nel maggio 2014, di cui è autore il giornalista de Il Fatto quotidiano Marco Travaglio. A pagina 17, l’autore scrive:” Cosa Nostra attende la sentenza della Corte di Cassazione sul maxi processo, quello istruito dal pool di Falcone e Borsellino, il primo che ha condannato i capi della Commissione dopo molti decenni di impunità.” Riina dice ai suoi affiliati:” Dobbiamo fare la guerra per fare la pace.”
E, per continuare nel riferimento ai Promessi Sposi: “Lo sventurato, cioè lo Stato rispose.” La verità è che il racconto si basa su fatti e documenti, a differenza di quello di Fiandaca e di Lupo. Si riporta una nota riservata del capo della polizia Parisi (a p.22); l’incontro del capitano dei ROS Giuseppe De Donno sull’aereo Roma-Palermo con Massimo Ciancimino “lo prega di perorare la causa presso il padre. Comincia di fatto la trattativa tra lo Stato e la mafia”(p.28). E ancora si citano nelle pagine successive fatti, circo stanze, dati: “21 giugno 1992: Riina è felice per i primi contatti con i ROS e inizia a preparare il papello con le richieste della mafia allo Stato. Nel libro di Travaglio alle pagine 98-153 si ricorda che la trattativa ha salvato la vita di qualche politico ma ne ha sacrificato molte altre, come quella di Borsellino considerato un ostacolo e quella di tutte le vittime delle stragi del 1993. Ai colleghi Fiandaca e Lupo ricorderei una vecchia massima che è sempre valida, oggi come ieri :”Le interpretazioni sono necessarie ma non possono prescindere dai fatti”. O sono io a sbagliare ancora una volta?