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La domenica in cui Renzi capì. Forse. Caffè dell’8 Giugno

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Forse questa domenica 8 giugno, due settimane dopo il 40,8 il per cento, sarà ricordata come quella in cui Renzi capì che era tempo di cambiar musica. Infatti il presidente del consiglio è troppo sveglio, il suo fiuto politico troppo acuto, per non cogliere, nei giornali in edicola, molta stanchezza e persino noia per quelle frasi che fino a ieri campeggiavano nei titoli. Palude, gufi e avvoltoi, alto tradimento e Daspo per i corrotti, ladri e persone per bene ma poi si deve ammettere che il problema non riguarda soli i ladri ma anche le guardie. Questo colorito e calcistico repertorio, che alla fine si riassume in una presunta differenza antropologica tra rottamati o rottamandi e rottamatori, oggi trova spazio solo nel titolo di Repubblica: “Via a calci i ladri dal Pd”. Si capisce, visto che ieri proprio nel cuore della “repubblica delle idee”  il premier si era esercitato nel suo repertorio.

il Sole24Ore invece, con una punta di malizia, fa dire al ministro Poletti che “la palude è la mancanza di scelte”: non un luogo ultroneo e lontano dal nuovo che avanza, ma la difficoltà presente  a tradurre le promesse in scelte di governo. La Stampa, esortativa, titola: “Corruzione, il piano del governo. Processi rapidi e nuovo codice appalti”. Il Corriere chiama Giannelli. Ed ecco il premier, con signora a fianco nel letto, che si risveglia e grida “Gol!!!” “Matteo, che fai?” chiede la moglie. “Sognavo di prendere a calci Orsoni”. “Ma allora – risponde lei – autogol!”. Già! Rosi Bindi spiega: “Non si rinnega chi ha sostenuto Matteo alle primarie”.

Il tutto condito da un editoriale di Antonio Polito: “Giorgio Orsoni, sindaco di Venezia, «non è un iscritto al Pd». Del resto anche Walter Veltroni non era mai stato comunista e Primo Greganti era solo una mela marcia. La tentazione di rimuovere, vizio antico a sinistra, non ha però retto a lungo. Ieri Renzi ha dovuto smentire i suoi che avevano cominciato il giochino dello scaricabarile tra chi c’era prima e chi c’è adesso, e mettere in capo al suo partito le responsabilità che ha nel sistema delle tangenti, trasversale come poche altre cose in Italia. Del resto, la favoletta che il meccanismo della corruzione si interrompa automaticamente mettendo i nuovi al posto dei vecchi è la stessa che ci raccontammo dopo Tangentopoli”.

Il disincanto, vi assicuro, serpeggia ovunque. Pietro Grasso commemorando La Torre, chiede che a indagare sulla corruzione siano le Direzioni Distrettuali Antimafia. Cantone chiede la reintroduzione del falso in bilancio con 5 anni di pena e la modifica del meccanismo perverso della prescrizione. Bindi incalza: “Quando si tratta di corruzione e mafia non possiamo aspettare la sentenza definitiva, la sospensione deve scattare con il rinvio a giudizio. Ti fai da parte e poi, se sei innocente, passi sotto l’arco di trionfo. Ma questo deve valere anche per gli imprenditori”. Già gli imprenditori e l’alleato di Renzi per le riforme, Silvio Berlusconi, ecco gli scogli che la barca del governo deve superare se non vuol sprofondare nella palude delle promesse che non si fanno scelta. Sempre Polito fa un’osservazione pungente su uno slogan, efficace ma ipocrita, dei giovani imprenditori: «Fuori da Confindustria chi corrompe, ma anche chi abbandona l’Italia». Che bello! Ma mettere sullo stesso piano un comportamento economico e uno criminale (rubare)  significa che quest’ultimo “è considerato più come un espediente che come un reato”.

Basta così. Caro Matteo, se mi leggi, tieni conto che sei entrato nella seconda parte della luna di miele con la bella addormentata. Quella in cui devi mostrare all’Italia quanto vali, non più ripeterle che tutti i precedenti fidanzati erano brutti, deformi e puzzavano. Anche in tema di Riforme. Perché un errore è un errore persino se lo commette la bella, intelligente e nuovissima Maria Elena Boschi. Renzo Piano: “Inconcepibili i senatori a tempo perso, devono essere eletti e remunerati”. Dimezzandone il numero.

Da corradinomineo.it


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