Ci voleva per Matteo Renzi, ma io dico: se l’è meritato! Il portavoce di Angela Merkel ha detto che il patto di stabilità può farsi più flessibile, se un paese procede con serietà sulla strada delle riforme. Appena un ballon d’essai, per vedere quali e quante grida manzoniane si leveranno tra i rigoristi di casa. Ma ecco i titolo dei giornali italiani. “Merkel: flessibilità nel patto UE”, Sole24Ore. “UE flessibile, sì di Merkel” questa è la Stampa. “Svolta Merkel”, scrive Repubblica. “La Merkel scricchiola”, per il Giornale.
Naturalmente ci sono ragioni germaniche dietro questo piccolo passo della Cancelliera: sostenere la domanda interna ed europea può servire a Berlino. Ma la novità italiana c’entra e come. Con il 40,8 per cento dei voti e la promessa di sgonfiare lo stato italiano e liberare l’azione del suo governo da lacci e laccioli, Matteo Renzi diventa un italiano presentabile in Germania, quasi come Mario Draghi. E gli si può dare un po’ di corda. “Signori miei” – come direbbe Crozza quando lo imita – questa è politica. E Renzi sa fare politica, Lo ripeto da mesi.
Il Corriere della Sera però raffredda gli entusiasmi: “I rilievi del Quirinale sui decreti. Ecco i dubbi sulla riforma della pubblica amministrazione”. Ci si era chiesti che fine avesse fatto il provvedimento Madia, ora lo sappiamo: da 11 giorni dimora sulla scrivania del Presidente. 82 articoli, 71 pagine è ancora un decreto omnibus, un altro mostro con cui un Governo sequestra i lavori del Parlamento. E Napolitano sta cercando un Maalox che gli consenta di digerire l’indigeribile. Alla fine lo troverà perché dall’inizio della legislatura l’andazzo è il medesimo: i governi decidono, spesso pasticciano mal consigliati dai burocrati dei ministeri, le Camere votano, trafelate e rissose, ma votano. Certo, nelle more, qualche potere potente (alti burocratici, magistrati con ruoli apicali, avvocati dello stato) limerà, a suo vantaggio, il provvedimento. Le lobby del Belpaese non dormono mai.
Scanzonato il titolo d’apertura del Fatto Quotidiano. “Boschi ministra a sua insaputa”. Perché il governo due volte ha detto sì all’immunità”. Che sfrontati, accusano Maria Elena di aver fatto come Scajola! Imparino da Michele Serra vero galantuomo che si auto accusa: “Mi sono introdotto a Palazzo Madama eludendo i severi controlli…ho individuato prima la stanza, poi la scrivania dove giace la proposta di riforma del Senato seguendo il forte profumo di zagara tipico della relatrice Finocchiaro e il fortissimo profumo di taleggio tipico del relatore Calderoli….e ho introdotto un foglietto dove avevo scritto di mio pugno “Immunità”.
Volendo si potrebbe osservare come questa pochade sull’immunità senza padri né madre è la conseguenza della scelta di conferire ai Consigli Regionali l’onere di nomina dei Senatori. Scrive Massimo Giannini: “Se togli l’immunità, crei una disparità di trattamento tra i deputati (che continueranno a beneficiare dell’articolo 68) e i senatori (che invece perderanno quel beneficio). Se invece la mantieni, crei una disparità di trattamento tra i consiglieri regionali e i sindaci «normali» (che non avranno alcuna «tutela») e quelli che saranno «nominati» senatori (ai quali la tutela sarà invece garantita)”. Composizione e modo di elezione del Senato rappresentano il punto di caduta, la boiata pazzesca che il politico più abile ma frettoloso ha concesso ai suoi collaboratori, ambiziosi e improvvidi. Oservava ieri Leoluca Orlando: “e se fare eleggere ai consiglieri un sindaco per regione fosse incostituzionale?”. Domanda non peregrina visto che Regioni e Comuni sarebbero organi con pari valore costituzionale.
Naturalmente si potrebbe decidere di togliere l’immunità per i reati ordinari anche ai deputati, lasciando l’insindacabilità delle opinioni e del voto. Ma – chissà perché – questo sembra un tabù. Come lo è la riduzione del numero dei deputati. Noi dissidenti ne chiedevamo il dimezzamento: da 630 a 315.
Intanto l’Egitto del nostro amico (siano o no occidentali e “filo americani?) Al Sisi fa condannare a 7 anni tre giornalisti di Al Jazira. La loro colpa? Aver raccontato la repressione contro i Fratelli Musulmani. Mentre John Kerry, fuori tempo massimo, dice al premier Al Maliki, la cui poltrona ormai brucia a Bagdad, di aprire a sunniti e curdi nel tentativo di contenere una guerra settaria ormai incontenibile.