Il giudice Roberto Settembre si è occupato delle torture avvenute ad opera di Polizia e Carabinieri impegnati nella caserma di Bolzaneto, nei famigerati fatti di Genova del 2001. Poteva godersi finalmente la pensione in pace. Invece ha scritto il libro “Gridavano e piangevano”, che descrive le violenze a cui le forze dell’ordine impegnate a Genova si sono abbandonate.
“L’ho scritto – dice nell’incontro organizzato da Libertà e Giustizia di Roma – perché in quei tre giorni del Luglio 2001 mi sono reso conto stendendo la sentenza di appello che in Italia c’è stata una sospensione della Costituzione e dei diritti che riconosce ai cittadini. Tutti i fermati, anche persone del tutto estranee, sono state malmenati, terrorizzati e traumatizzati con una brutalità che oltrepassa ogni regola giuridica. Tutto questo ha un nome: tortura. E se non diamo questo nome a questo reato, non risolveremo mai la ferita di Genova all’ordinamento”.
Carlo Bonini, giornalista de La Repubblica analizza il contesto politico in cui i fatti di Genova si sono svolti e pone l’accento sul tema culturale continuamente affiorante in Italia: la mancata elaborazione del fascismo.
“E’ un grumo congelato, ma non risolto in gran parte ancora dei cittadini. E che riaffiora periodicamente quando si invoca la violenza come metodo risolutivo e sbrigativo per ristabilire l’ordine. E questa cultura giustifica eccessi. E’ quanto accade per esempio alle forze dell’ordine quando la frustrazione si somma alla disorganizzazione. Da cronista, ho conosciuto parecchi agenti che fanno servizio nelle piazze; hanno un’età media di circa 50 anni e quando corrono dietro a uno studente di vent’anni che ha lanciato un sasso sul casco, spesso non lo prendono, ma poi si sfogano con il primo che agguantano.
“Quello che mi ha più colpito – aggiunge l’ex giudice Settembre – è che quando condanniamo un poliziotto che si scopre aver spacciato droga o rubato, gli altri colleghi ci ringraziano per aver colpito le “mele marce” . Invece, da quando sono successi i fatti di Genova e le relative sentenze di condanna, nessuno membro delle forze dell’ordine ha mai preso le distanze da chi si è macchiato di queste indicibili violenze”.
“I cittadini e la pubblica opinione – conclude Settembre – possono fare molto affinché non si ripetano simili aberrazioni nel nostro Paese. Prima di tutto informandosi e aprendo finestre di verità sulla penombra che nasconde ancora quei misfatti. Ma poi, è la classe politica che deve introdurre il reato di tortura nel nostro codice. Non solo per un’esigenza processuale, ma per una scelta culturale. Solo se chiamiamo la tortura con il suo nome possiamo riconoscerla e combatterla”.
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