Martedì 24 giugno, alle 12, a Trieste, nella sala stampa comunale intitolata ad Anna Politkovskaja, come Assostampa e Ordine dei giornalisti del Friuli Venezia Giulia ricorderemo – assieme al Comune di Trieste, con la vicesindaca e collega Fabiana Martini, e ai rappresentanti di Amnesty International – il giornalista Andrej Mironov e il fotoreporter Andrea Rocchelli, uccisi un mese fa a Sloviansk, in Ucraina. Altri due giornalisti uccisi mentre svolgevano il proprio lavoro, una tragica scia di sangue che non sembra aver fine. Ne 2014 sono già 36 i giornalisti uccisi, di questo passo rischiamo dunque di peggiorare il dato del 2013, quando furono 71 i reporter morti. Numeri drammatici, cui vanno aggiunti 826 giornalisti arrestati, 2160 minacciati o attaccati fisicamente, 87 rapiti, 77 costretti a lasciare il proprio Paese.
Dati della ong americana Freedom House, secondo la quale i peggiori Paesi per gli operatori dell’informazione sono Siria, Iraq, Egitto, Pakistan, Somalia e India. Negli ultimi dieci anni si segnala anche un declino del diritto ad informare in molti Paesi del Medio Oriente, tra cui Egitto, Libia e Giordania. Questa la situazione nella quale ricordiamo i colleghi uccisi. Lo facciamo poche settimane dopo l’intitolazione di un giardino, a Trieste, nel ventennale della morte dei colleghi triestini Marco Luchetta, Sasa Ota e Dario D’Angelo (caduti a Mostar), e Miran Hrovatin (ucciso a Mogadiscio assieme a Ilaria Alpi).
Rocchelli aveva 30 anni, era nato a Piacenza, diceva: “Io mi limito a fare degli scatti, senza pregiudizi”. Aveva lavorato per Grazia Neri Photo Agency e fondato Cesura, un collettivo con altri quattro fotografi. Dal 2009 aveva iniziato una documentazione degli abusi sui civili negli stati del Caucaso. Nel 2010, collaborando con Human Right Watch, aveva documentato la crisi etnica nel Kyrgyzstan del sud. Dal 2011 aveva coperto gli avvenimenti legati alla “Primavera Araba” in Tunisia e Libia.
“Mironov, giornalista, ex-dissidente e prigioniero politico sovietico, era nato a Irkutsk (allora Urss) nel 1954. L’ ho incontrato – ricorda Giuliano Prandini, di Amnesty International, che parteciperà all’incontro di Trieste – per la prima volta a Mosca, nel 2012, vicino alla piazza Majakovskij, nella sede di Memorial, la più importante organizzazione russa per i diritti umani. Nel 1985, al tempo di Gorbaciov, era stato condannato a quattro anni di detenzione e tre di esilio interno per propaganda sovversiva antisovietica in base all’art. 70 del codice penale e mandato in un campo di lavoro in Mordovia per criminali statali particolarmente pericolosi. Era stato rilasciato dopo un anno e mezzo. Dopo la liberazione, si era dedicato al lavoro in difesa dei diritti umani”.
Ancora Prandini: “Dal 1991 aveva iniziato a lavorare come ricercatore specializzato in diritti umani per diversi media e dall’anno successivo si era occupato di diverse zone di conflitto, come Nagorno Karabakh, Tagikistan, Cecenia e Afghanistan. Durante la guerra in Cecenia, aveva organizzato incontri tra rappresentanti ceceni e deputati russi per una soluzione pacifica del conflitto. Le sue iniziative erano in contrasto con i piani governativi di reprimere con la forza l’insurrezione. Nel 2003, venne nuovamente preso di mira: a Mosca, il 3 luglio, fu aggredito e gravemente ferito. Venne poi curato in Germania e Italia. Conosceva molto bene l’italiano ed era venuto più volte in Italia. Alla fine del 2013 aveva partecipato a conferenze e incontri organizzati da Amnesty International in diverse città italiane”.
“Nelle ultime settimane – conclude Prandini – era stato in Crimea, a Kiev, brevemente in Italia. Ci telefonavamo spesso e mi aggiornava sulla situazione in Russia, sugli arresti illegali (come quelli del 2012 in piazza Bolotnaya), sulle Pussy Riot. Ricorderò la sua integrità, la profonda cultura, l’attivismo instancabile, lo stile di vita frugale ma anche il suo senso dell’umorismo.Per tutti noi è una perdita incolmabile”.
*giornalista del “Piccolo” di Trieste e presidente dell’Assostampa Friuli Venezia Giulia