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Il coraggio del Papa, il silenzio del mondo

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Un uomo solo, papa Francesco, animato unicamente dalla propria fede, dal proprio prestigio, dalla propria credibilità e dal proprio coraggio. Un uomo che, in un anno di pontificato, ha ribaltato tutti gli schemi, restituendo alla Chiesa quello spirito conciliare che le mancava oramai da mezzo secolo, ossia da quando un altro grande papa progressista, Paolo VI, aveva teso la mano alle altre culture e civiltà, ad esempio incontrando il patriarca ecumenico di Costantinopoli Atenagora I durante il Concilio Vaticano II (1964) e rilasciando, l’anno dopo in Israele, una dichiarazione nota come “La dichiarazione comune Cattolico-Ortodossa del 1965” che sancì, di fatto, un riavvicinamento fra le due confessioni che dura tuttora.

Pur non prestando grande attenzione alle coincidenze, non può dunque non balzare agli occhi il particolare dell’incontro di preghiera svoltosi ieri presso i Giardini Vaticani, cui erano presenti, insieme al Pontefice, il presidente israeliano Shimon Peres, il presidente palestinese Abu Mazen e il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I. Oggetto della storica iniziativa politico-diplomatica era l’invocazione della pace in Medio Oriente, in quella Terra Santa martoriata da sei decenni di odi e conflitti, di attentati e vendette e mai come ora bisognosa di tendersi la mano e imboccare un cammino di convivenza e rispetto reciproco.

Per questo, al di là della bellezza e della solennità della cerimonia, alcune riflessioni di papa Francesco sono destinate a passare alla storia: nessuno, infatti, era mai arrivato a tanto, nemmeno Clinton nel vertice di Camp David, nemmeno Yitzhak Rabin e Yasser Arafat durante gli Accordi di Oslo del 1993, nessuno aveva mai avuto la forza morale e spirituale di prendere posizioni così nette a favore di un processo di pace che tante volte è stato avviato e altrettante si è, purtroppo, infranto contro il muro dei reciproci pregiudizi ed estremismi.

Ha detto, difatti, papa Francesco: “Spero che questo incontro sia l’inizio di un cammino nuovo alla ricerca di ciò che unisce, per superare ciò che divide. La vostra presenza è un segno di fraternità: Dio oggi ci guarda come fratelli e desidera condurci sulle sue vie”. E ancora: “Abbiamo provato tante volte e per tanti anni a risolvere i nostri conflitti con le nostre forze e anche con le nostre armi. Molti, troppi dei nostri figli sono caduti vittime innocenti della guerra e della violenza, piante strappate nel pieno rigoglio. Il nostro dovere è di far sì che il loro sacrificio non sia vano. Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza”.

Sono frasi comuni, frasi di una semplicità disarmante ed è proprio questo il senso della loro grandezza: dove non sono riusciti i paroloni, le dichiarazioni gonfie di retorica, le cerimonie in pompa magna, i riflettori dei media di tutto il mondo e i potenti da cui dipendono le sorti dell’umanità, potrebbe riuscire (e ce lo auguriamo davvero di cuore) un uomo la cui unica, vera forza è una profondità di pensiero e un’abilità diplomatica che non si vedevano da almeno mezzo secolo; un uomo che ripudia lo sfarzo, che detesta la superbia e la superficialità e si fa interprete di un messaggio autentico, per l’appunto conciliare, delle Sacre scritture, ponendo al centro l’essenza dell’uomo e i suoi diritti, primo fra tutti quello alla vita e alla serenità.

Un uomo solo, dunque, sicuramente non amato dalle frange più conservatrici della curia, di certo inviso, anche se nessuno lo ammetterà mai, ai cantori del liberismo che vorrebbero schiavizzare l’essere umano e trasformarlo in merce o, peggio ancora, in una massa indistinta senza diritti e senza dignità, ha compiuto ieri un atto diplomatico di dimensioni enormi: un gesto che potrebbe cambiare il corso della storia e porre le basi per un nuovo inizio, influenzando in maniera decisiva, e al momento imponderabile, gli equilibri globali.

Un uomo che ha osato sfidare tutti i dogmi dell’ultimo trentennio, reinventando una trama di fraternità e proponendo al mondo un diverso modello di convivenza e di sviluppo.

Un uomo che ieri è riuscito a fare incontrare quattro culture (quella cattolica, quella ebraica, quella araba e quella ortodossa) e a dare l’impressione, per la prima volta, di aver aperto una breccia nel muro di isolamento e reciproca ostilità che nessuno era mai riuscito a scalfire con tanta intensità e determinazione.

Un uomo, per l’appunto, semplicemente un uomo che ha avuto il coraggio di farsi comunità e pronunciare alcune parole (pace, uguaglianza, solidarietà e molte altre ancora) di cui la grande politica ha dimenticato persino il significato.

Papa Francesco: un uomo nel silenzio assordante di tanti robot. Se dovesse riuscire nell’impresa di far dialogare sul serio il Medio Oriente in fiamme, il corso del Ventunesimo secolo potrebbe prendere una piega diversa.


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