Le mani tese verso l’alto e le grida di aiuto. Era notte fonda quando nave Dartilo è arrivata sul luogo della segnalazione, a 40 miglia dalle coste libiche, un passo da Tripoli. Braccia tese verso l’alto e grida di aiuto. Quaranta superstiti dell’ennesimo naufragio. Il comandante Salvatore Scimone non ne aveva mai visti così tanti in mezzo al mare. Sopravvissuti grazie a quel gommone che in un attimo si è sgonfiato e si è accasciato sotto il loro peso, ma è rimasto a pelo d’acqua con la prua ancora emersa il tempo sufficiente per farli sopravvivere. Era pieno di donne quel gommone, erano almeno venti, nessuna di loro è sopravvissuta. I trentanove sopravvissuti che i marinai di nave Dattilo tirano fuori dall’acqua sono tutti maschi, giovani, subsahariani, dice il comandante Scimone. La sua voce risuona da un telefono satellitare quando la sua nave ancora gira in tondo, in cerca di vivi, ma anche in cerca di morti. La rotta disegna cerchi concentrici proprio sopraTripoli. Il cellulare gracchia, la voce del comandante ripete che non aveva mai visto niente di simile, che in tanti anni di mare non aveva mai visto tante mani tese verso l’alto uscire dal mare.
I superstiti hanno detto che erano novanta, o forse cento a bordo di quel gommone. I corpi recuperati sono dieci, tra cui sette donne. I sopravvissuti sono quaranta. Il numero dei dispersi è tra quaranta e cinquanta. Una strage. L’ennesima strage.
Il Mediterraneo continua ad ingoiare barche di disperati. L’operazione Mare Nostrum non riesce a fermare lo stillicidio di morti. Nonostante lo sforzo. Nonostante l’impegno.
I gommoni che partono dalla spiaggia di Zuwarah sono fragili. Lo abbiamo visto come si accartocciano su loro stessi quando perdono pressione e la struttura cede sotto il peso dei suoi passeggeri. Lo abbiamo visto come succede solo pochi giorni fa in un video amatoriale girato dai marinai di una porta container. Il cellulare aveva ripreso tutta la scena. Aveva mostrato come si rovescia su se stesso. Come i passeggeri cerchino scampo disperatamente aggrappandosi a quello che del gommone resta a galla. Succedeva accanto ad una nave, ad un passo dalla salvezza. È successo ancora in mezzo al mare, in piena notte.
Gommoni identici. Gommoni fragili, che sembrano fatti in serie.
Lo dicono da tempo i marinai impegnati nei soccorsi in mare. Quei gommoni di cartapesta si rompono facilmente.
Naufragi. Ancora naufragi. Dal 12 maggio è il terzo, o il quarto. Centinaia di dispersi, decine di corpi sepolti dentro fosse comuni. È una strage che non si ferma.
Quel gommone l’aveva visto un elicottero. Stava navigando verso Lampedusa, verso l’Europa.
Quell’elicottero ha segnalato il gommone all’Italia. Sebbene fosse in acque libiche e stesse entrando in acque maltesi. Quell’elicottero è un elicottero portoghese. Fa parte del dispositivo Frontex, quello che l’Europa rivendica come attività di controllo delle frontiere marine, che rivendica come attività di soccorso in mare. Lo rivendica l’Europa per dire che la sua parte la sta facendo. Quell’elicottero ha segnalato il gommone e se ne è andato.
Mare nostrum non può durare all’infinito. Oggi lo ha ripetuto il ministro dell’interno che non si appella più direttamente all’Europa richiamandola ai suoi doveri, chiedendole il sostegno che dovrebbe, dicendole che non basta un elicottero portoghese. Non può durare all’infinito, dice il ministro dell’interno, mentre le ricerche vanno avanti nel mediterraneo. Le ricerche dei dispersi. Forse sono 40, forse sono 50.
Mentre dalla spiaggia di Zuwarah, altri gommoni di cartapesta stanno per prendere il mare.
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