Matteo Renzi riuscirà a mantenere gli impegni assunti e a non deludere le immense aspettative legate alla sua persona solo se avrà il coraggio di fare, fino in fondo, i conti con se stesso. In poche parole, dovrà dire e, prima di tutto, dirsi la verità. Perché è vero che il Partito Democratico alle Europee è andato benissimo, senz’altro oltre le più rosee aspettative, come è vero che, allo stato attuale, sia l’unica possibilità di governo senza avventure e, soprattutto, con un profilo saldamente europeista e non legato a partner europei francamente imbarazzanti quali Farage o la Le Pen. Tuttavia, è altrettanto vero che la grande forza di Renzi sta proprio nell’infinita debolezza dei suoi avversari, interni ed esterni.
Partiamo da quelli interni, ossia dalla sinistra del PD che, pur avendo idee di gran lunga migliori delle sue, sconta la propria atavica difficoltà nel mettersi d’accordo e nel fare fronte comune, finendo col risultare divisa, litigiosa e, a tratti, impacciata in un contrasto che, invece, servirebbe oggi più che mai, pena la scomparsa “sine die” di qualunque dialettica interna.
Poi c’è SEL, lacerata al proprio interno dalla scelta della collocazione a Strasburgo, divisa sul da farsi per quanto riguarda il fronte nazionale tra chi vorrebbe aderire alla proposta di un Partito della Sinistra, lanciata da Susanna Camusso in un’intervista al “Corriere della Sera”, e chi, al contrario, vorrebbe strutturare in Italia la lista Tsipras, ponendosi come alternativa a un PD considerato oramai un partito di centro.
Senza dimenticare il Movimento 5 Stelle, uscito a pezzi dalle Europee, costretto a fare i conti con una delusione cocente e con la scelta, sinceramente intollerabile, di Grillo di avvicinarsi al leader dell’UKIP: un partito talmente xenofobo e imbarazzante da indurre persino la Le Pen a escluderlo dall’orizzonte delle possibili alleanze. Dopo la mini-diaspora cui abbiamo assistito nei mesi scorsi, fra espulsioni e abbandoni volontari, non è detto che il fronte grillino non possa ulteriormente dividersi, magari dando vita a un movimento autonomo dai chiari connotati di sinistra che potrebbe essere interessato al dialogo immediato con SEL e, forse, un domani, anche col PD.
A destra, infine, è il regno del caos, con Forza Italia a brandelli, divisa fra le ambizioni di Fitto e il disperato tentativo di auto-conservazione di Berlusconi; il Nuovo Centrodestra misto all’UDC che, per ora, è più un fortunoso esperimento elettorale che un vero e proprio partito; i Fratelli d’Italia della Meloni e Crosetto che, al netto del mancato raggiungimento del quorum alle Europee, godono comunque di discreta salute e, poi, la rinnovata Lega nazionalista di Salvini, distante anni luce dal celodurismo padano di Bossi, distante dall’immagine borghese di Maroni, oramai aliena alle sparate folkloristiche di Borghezio e desiderosa di porsi come un movimento di destra anti-sistema in stile Le Pen, cavalcando la follia dell’uscita dall’euro e rispolverando, sia pur con toni leggermente differenti, l’antica battaglia contro l’immigrazione. Siamo, dunque, di fronte a un quadro politico a dir poco frammentato, nel quale Renzi oggi non ha rivali in grado di scalfirne il predominio; il che costituisce un vantaggio ma anche un terribile problema. Un vantaggio perché ha davvero tutte le possibilità di fare bene, ricompattare il PD, rinfrancato da un successo storico, e porsi come perno dell’assetto istituzionale per i prossimi dieci anni; un terribile problema perché è noto a tutti il carattere del soggetto in questione.
Come abbiamo già scritto altre volte, Renzi avrà vinto davvero se riporrà in un cassetto gli abiti da magnifico propagandista qual è e indosserà quelli, assai più scomodi, dello statista, aprendo un dialogo costruttivo con le parti sociali, accantonando i toni da bullo che talvolta lo contraddistinguono, smettendola di aggredire verbalmente chiunque osi mettere in discussione le sue proposte e provando seriamente a ricucire un Paese sfibrato, allo stremo, con un tessuto industriale che non regge più, un welfare disastrato e una tenuta sociale garantita oramai unicamente dallo sforzo sempre più insostenibile dei padri e, talvolta, addirittura dei nonni nei confronti di giovani generazioni senza lavoro e senza prospettive.
Non ci stancheremo di ripetere che il Renzi statista dovrebbe, a tal proposito, accantonare l’Italicum (una pessima legge, figlia di un accordo che oramai appartiene alla preistoria) e far propria la bozza Chiti sul Senato, visto che tutti gli altri pasticci, oltre ad essere senza capo né coda, conducono in un vicolo cieco, alla luce della conclamata indisponibilità di Forza Italia a varare riforme che, oggettivamente, la indebolirebbero ulteriormente a vantaggio della sinistra. Inoltre, se si liberasse da quell’abbraccio mortale, potrebbe anche infliggere alla destra il colpo del KO definitivo, denunciandone l’egoismo e la totale assenza di spirito riformista, possibilmente scusandosi pubblicamente per averci creduto anche lui dopo vent’anni di brucianti fallimenti dei suoi predecessori.
E poi dovrebbe ritrovare il rapporto coi sindacati, farsi promotore del Partito della Sinistra ipotizzato dalla Camusso, accantonare ogni velleità di “vocazione maggioritaria” e realizzare insieme alle parti sociali riforme indispensabili come quella della pubblica amministrazione, quella della RAI e quella del mondo del lavoro. A quel punto, terminato il semestre europeo e dopo aver dato battaglia per infrangere i vincoli dell’austerità e i dogmi del liberismo selvaggio, sarebbe il caso di tornare a votare o col proporzionale puro o col doppio turno di collegio, rimandando la riforma, pure necessaria, del Senato, alla prossima legislatura.
Il Renzi orgoglioso e un po’ spaccone che abbiamo visto all’opera in questi mesi, invece, rischia di impantanarsi sulle riforme epocali che in questa legislatura non si faranno mai, di giungere al punto di rottura con le parti sociali e di tornare a votare, comunque, abbastanza presto, senza avversari ma, a quel punto, anche senza alcuna credibilità.
Al che, il vero e unico vincitore risulterebbe il partito dell’astensione e chiunque dovesse prendere un voto più degli altri sarebbe, comunque, delegittimato in partenza, lasciando il Paese in balia del populismo e di una speculazione internazionale che non vede l’ora di infliggere il colpo di grazia a quel Sud-Europa che nemmeno sei anni di crisi sono ancora riusciti ad assoggettare completamente alla volontà dei nuovi padroni del mondo.