Quel poco di identità europea che c’è la stiamo costruendo più noi cittadini, che i politici.
Sono già molti gli Italiani che hanno amici europei, figli che studiano o lavorano in Europa, che parlano una lingua europea e la usano per seguire informazione e programmi non italiani.
A fronte di questa intensa tessitura culturale dal basso, la diffidenza dei governanti non si scioglie.
Anche negli ultimi incontri a Bruxelles, dove sembra finalmente iniziare a diffondersi il ripensamento sull’efficacia dell’austerità, il tenore dei documenti ufficiali è inconsistente.
Eppure, calerebbe di molto la febbre dell’euro-scetticismo se la UE dedicasse ai tassi di disoccupazione la stessa attenzione che rivolge alle percentuali del deficit degli stati. Magari varando ingenti piani di sussidi mirati al ricollocamento dei lavoratori colpiti dalla crisi.
Ci vogliono tanti soldi, rispondono sbrigativamente i tecnici per schivare il tema.
E’ vero, ma i soldi si trovano se si riconosce la priorità politica dei bisogni, rispetto alla priorità economica agli interessi.
I nazionalismi di ritorno degli stati più colpiti dalla crisi stanno usando questa “omissione di soccorso” per ripudiare l’Europa. Mentre i “separatisti” degli altri stati non vedono alcun vantaggio nel farsi carico dei guai di popoli che sentono estranei.
C’è molto da fare per costruire un’Europa degli Europei e non più degli stati.
Ma pochi hanno capito che il sonno della solidarietà genera albe dorate.
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