Gezy PArk e Santa Sofia. Ruotano intorno a queste due “icone” turche, due simboli antichi e moderni di Istanbul, le mosse elettorali di Erdogan. Il primo ministro turco punta a essere eletto presidente delle Repubblica e gestisce l’anniversario della repressione di Gezy PArk con mano durissima. Perché? Perché la sua linea dall’inizio di questo drammatico scontro è stata questa: a Gezy PArk si gioca una partita vitale tra la Repubblica Turca e chi dall’estero complotta contro di essa. Una linea, quella del complotto, che ha pagato e seguita a pagare, purtroppo. Quando c’è da urlare contro la luna inventarsi un complotto paga, e anche nel caso turco è stato così.
Erdogan sa benissimo che al tempo di Gezy Park la crescita economica turca stava traballando, anzi, stava venendo giù. Per errori e problemi indipendenti dalla protesta di piazza. Anzi, precedenti la protesta. Ecco che colpire con durezza è servito a radicalizzare, urlare al complotto e dare la colpa dei problemi economici già emersi ai manifestanti. Ora sta facendo lo stesso. E’ accaduto sabato. La nuova repressione, durissima, ha avuto luogo nell’anniversario della protesta di Gezy PArk.
Il giorno seguente cadeva un altro anniversario, quello trasformazione in mosche della basilica di Santa Sofia subito dopo la conquista di Costantinopoli, il 29 maggio 1453, da parte del Sultano Mehmet II. E così subito dopo il 29 maggio di questo 2014 una marea di fedeli è andata a svegliare Istanbul radunandosi all’alba per la preghiera davanti a Santa Sofia, ora trasformata in museo. Vogliono che tornino moschea. La loro preghiera coincide con la “festa della conquista”.
Ma quella festa non è mai stata celebrata dagli ottomani, ai quali Erdogan si richiama. Quella festa è stata introdotta dai generali nel 1953, tempi duri e bui, tempi di generali “laicisti”. La scelta di celebrare quella conquista è stato uno dei tantissimi errori dei generali. Che ora Erdogan fa suo con un programma: radicalizzare, radicalizzare lo scontro e urlare al complotto, scelta che paga dal punto di vista elettorale.
Il voto si avvicina e la domanda più grave davanti a questo scenario sembra questa: ma l’opposizione ha una strategia, o la sua leadership è ferma a 20 anni fa?