“Un feroce attacco alla libertà di stampa, una giornata nera per l’Egitto”: così Amnesty International ha commentato la condanna di tre giornalisti di Al Jazeera English, giudicati oggi colpevoli di aver diffuso notizie false e di aver favorito il movimento fuorilegge della Fratellanza musulmana. Peter Greste, Mohamed Fahmy e Baher Mohamed, arrestati il 29 dicembre 2013, sono stati condannati a sette anni. A Baher Mohamed sono stati inflitti altri tre anni perché era stato trovato in possesso di un bossolo. L’organizzazione per i diritti umani ha dichiarato subito i tre giornalisti “prigionieri di coscienza” e ne chiede il rilascio immediato e incondizionato.
Degli altri sei imputati processati insieme ai tre giornalisti di Al Jazeera, due solo stati assolti e quattro sono stati condannati a sette anni. Altri giornalisti sono stati condannati, in contumacia, a 10 anni di carcere, tra cui Sue Turton, Dominic Kane (di nazionalità britannica) e Rena Netjies (olandese). Un osservatore di Amnesty International al processo ha riscontrato numerose irregolarità e una lunga serie di inettitudini. In 12 udienze, la pubblica accusa non è stata in grado di presentare una sola prova concreta che collegasse i giornalisti a un’organizzazione terrorista o che confermasse che gli imputati avessero “falsificato” delle immagini televisive.
La pubblica accusa ha ostacolato le richieste della difesa di riesaminare e contestare le prove a carico, dimostrandosi spesso impreparata e disorganizzata, spesso impegnata a esibire prove irrilevanti. Le testimonianze contro gli imputati ascoltate in aula sono apparse in contrasto con quelle rese precedentemente per iscritto. Nel corso dei contro-interrogatori, gli esperti hanno dichiarato di non essere in grado confermare se i giornalisti di Al Jazeera avessero falsificato delle immagini o avessero portato con sé materiali non autorizzati.
Insomma, un verdetto aberrante nei confronti di giornalisti giudicati alla stregua di terroristi solo perché il loro lavoro non andava bene alle autorità. Del resto, oggi in Egitto chiunque osi sfidare la narrativa di stato è considerato un bersaglio legittimo.
A rischio non sono solo i giornalisti. Nell’ultimo anno migliaia di persone sono state imprigionate nell’ambito della repressione del dissenso. La pena di morte è stata usata massicciamente: dall’inizio dell’anno 1247 condanne a morte emesse, 247 confermate e 7 precedenti condanne eseguite tramite impiccagione il 16 e il 19 giugno.