Non se ne parla quasi piu’. Eppure la situazione in cui versano giustizia e carceri e’ sempre disastrosa, comatosa. Eppure il termine fissato dalle Corti di Giustizia Europee per sanare la situazione e’ abbondantemente scaduto…
La situazione attuale: un detenuto su cinque è in carcere senza aver subito un processo. Sono in questa condizione 10.389 reclusi, il 17% dell’intera popolazione carceraria (59.683, secondo i dati aggiornati al 30 aprile scorso). Un fenomeno che incide sul sovraffollamento, ha costi umani ed anche economici per il Paese, visto che ogni giorno per la carcerazione preventiva l’Italia spende circa 1,3 milioni di euro. I dati emergono da un’analisi dell’Associazione italiana giovani avvocati.
Per arrivare a stabilire quanto costa la carcerazione preventiva l’Aiga è partita dai dati del ministero della Giustizia, e ha poi moltiplicato il numero dei detenuti sottoposti al carcere preventivo a quello che lo Stato spende al giorno per ogni singolo recluso: una cifra pari nel 2013 a quasi 125 euro, in un anno 45.610 euro. Dal punto di vista numerico la situazione è migliorata da quando nel gennaio del 2013 fu pronunciata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo la sentenza Torreggiani, visto che allora i detenuti in attesa di giudizio erano circa 12.439 (18,87%) su un totale di 65.905 detenuti.
Ma anche l’attuale numero di reclusi senza processo è “ancora troppo alto, considerato che si tratta di persone sottoposte ad una misura cautelare senza aver subito alcun processo”. L’Aiga ricorda che il più recente dato sul sovraffollamento carcerario, quello elaborato dal Consiglio d’Europa e aggiornato al 1 settembre 2012, vede l’Italia posizionata al penultimo posto, “peggio di noi solo la Serbia”. E’ facile prevedere -sostengono i giovani avvocati – che ai ricorsi pendenti si aggiungeranno quelli di nuova proposizione, con la conseguenza che l’Italia dovrà sborsare ulteriori ingenti somme relative ai risarcimenti: tra i 10 e i 20mila euro a detenuto, secondo quanto disposto dalla Corte nella sentenza.
Una situazione di palese illegalita’, una situazione che non puo’ essere risolta dai provvedimenti tampone annunciati dal Governo; una situazione in contrasto con la Costituzione e la normativa europea, e che puo’ essere sanata solo a partire da un provvedimento di amnistia e indulto. Lo ha ben detto, l’altro giorno, il Procuratore generale aggiunto che coordina i magistrati dell’esecuzione penale, dottoressa Nunzia Gatto: “Personalmente sono dell’idea che si sarebbe dovuto seguire la linea più volte indicata dal presidente della Repubblica per alleggerire il sovraffollamento carcerario: amnistia e indulto. In quel modo, per noi sarebbe stato possibile applicare automaticamente il condono ai detenuti che ne avessero avuto diritto”.
Il 28 maggio e’ il termine ultimo fissato dalla CEDU allo Stato italiano per porre fine alla tortura praticata nei confronti dei detenuti ristretti nelle nostre carceri e’ alle nostre spalle; eppure finora nulla è stato fatto. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, con il suo messaggio alle Camere ha “gridato” il suo autorevolissimo “non si perda neanche un giorno”, non e’ servito a nulla. Ci sono statele iniziative nonviolente che i radicali in questi mesi hanno messo in atto: dallo sciopero della fame e della sete di Marco Pannella a quello della segretaria di Radicali Italiani Rita Bernardini, fino agli appelli diffusi e sottoscritti da numerose personalità alle lettere inviate al Capo dello Stato. Da ultimo, ma non ultimo, gli incoraggiamenti e gli appelli di papa Francesco con le sue telefonate a Pannella…l’obiettivo non puo’ essere più chiaro: chiedere alle nostre istituzioni di porre in atto tutti i provvedimenti legislativi volti ad eseguire quanto richiesto dalla Corte di Strasburgo con la sentenza Torreggiani e cioè a rimuovere le cause strutturali e sistemiche del sovraffollamento carcerario che generano i trattamenti disumani e degradanti nelle nostre carceri.
La CEDU ci ha chiesto di riomuovere le cause strutturali che generano trattanenti inumani e degradanti, e tutto questo non si è realizzato. In realtà fin dall’emanazione della sentenza Torreggiani l’Italia avrebbe dovuto rimuovere subito i trattamenti inumani, per questo abbiamo proposto da anni un provvedimento di amnistia e indulto. Certo possiamo dire che ci sono meno detenuti, ma rimane la situazione di una pena illegale che continua a essere eseguita nelle nostre carceri, anche nella forma della custodia cautelare.
Gli aspetti della pena illegale in Italia non riguardano solo gli spazi a disposizione di ciascun detenuto (e qui il sovraffollamento persiste) ma anche la possibilità di accesso alle cure. Su questo versante la situazione è disastrosa, perché oltre i tossicodipendenti, che sono il 32%, il 27% di detenuti ha un problema psichiatrico. Non solo: malattie infettive debellate all’esterno dietro le sbarre si diffondono sempre di più. Tra queste, l’epatite C è la più frequente (32,8%), seguita da Tbc (21,8%), epatite b (5,3%), Hiv (3,8%) e sifilide (2,3%). Con tutti i rischi di diffusione di queste malattie all’esterno. Per quel che riguarda inoltre le possibilità di accesso alle attività trattamentali, quali il lavoro e lo studio siamo ancora all’anno zero. C’è una percentuale bassissima di detenuti che può svolgere lavori poi spendibili all’esterno. Su quasi 60.000 detenuti, solo 2.278 solo quelli che svolgono attività per datori di lavoro esterni, mentre 12.268 fanno lavori poco qualificanti all’interno del carcere.
Quanto agli interventi approvati per ridurre l’emergenza sovraffollamento, queste misure non sono tali da far uscire l’Italia dall’illegalità e farla rientrare nei parametri costituzionali italiani ed europei. In particolare va sottolineato che ancora una volta la politica ha scaricato le decisioni sui magistrati di sorveglianza. Questi ultimi non riuscivano a star dietro a tutte le istanze presentate dai detenuti in quanto la pianta organica, peraltro insufficinte, che prevede 173 unità, in realtà vede coperti soltanto 158 posti. A ciò si aggiunga il fatto che ancora più carente è il personale amministrativo e di cancelleria. Inoltre fra i compiti aggiuntivi per i magistrati di sorveglianza, c’è quello del cosiddetto ‘rimedio interno’ che l’Italia ha dovuto prevedere viste le tantissime istanze presentate alla Corte Ue da parte di detenuti. In base a questa norma, il detenuto deve fare tutta la trafila interna e alla fine del provedimento, se ritiene che i suoi diriti siano stati violati, può fare ricorso alla Corte Europea.
La democrazia e lo stato di diritto si possono realizzare solo difendendo i diritti umani fondamentsli. Ne siamo, purtroppo, ben lontani.
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