D’abitudine non rispondo agli articoli o ai commenti di chi giudica e critica i miei interventi su Articolo 21. La difesa del pluralismo delle idee è uno dei concetti fondamentali del nostro movimento e del nostro sito, che abbiamo fondato 12 anni fa. Ma in questo caso, il titolo (“ Ebrei, palestinesi, antisemitismo. Stravolgimento di fatti, idee e parole per difendere l’indifendibile”) e i commenti di Nino Lisi chiamano in causa la mia onestà intellettuale e la mia obiettività nell’enunciare fatti, dati e circostanze, stravolgendo fino ai limiti dell’offesa il mio pensiero.
Ringrazio l’autore per i giudizi lusinghieri forniti all’inizio del suo intervento; ma certo non posso accettare distorsioni del mio pensiero e del mio lavoro di giornalista e ricercatore, solo perché ho posto davanti ai lettori una visione nuova, e purtroppo difficile “da digerire” anche a sinistra, dello scontro religioso, ideale, culturale, politico e sociale tra due comunità che dovrebbero invece integrarsi: l’ebraica e l’islamica. E questo avviene nella “civile e democratica” Europa unita, dove decine di milioni di cittadini hanno votato per partiti e movimenti xenofobi, dichiaratamente antisemiti, razzisti e anche anti-islamici.
Questa, caro Lisi, è l’Unione Europea che ha avuto come padri fondatori uomini della levatura intellettuale, quale Altiero Spinelli, perseguitato dal fascismo per le sue idee e al quale dobbiamo l’impalcatura ideale e politica della nuova Europa, quella uscita da una guerra mondiale con decine di milioni di morti e lo sterminio di 6 milioni di “cittadini europei di religione ebraica”, oltre che di oppositori politici, Rom e omosessuali.
La creazione dello stato di Israele, anche a scapito della popolazione palestinese là residente, come “risarcimento” da parte degli Alleati per gli orrori subiti dal nazifascismo, ha innescato un focolaio di destabilizzazione in Medio Oriente, che tuttora non si riesce a debellare. In questi anni, abbiamo assistito ad un processo di “oblio” e di “revisionismo storico”, che ha di fatto cercato di rimettere sotto accusa il popolo ebraico e il sionismo storico, a causa dei comportamenti spesso ingiustificati e aggressivi dei vari governi d’Israele succedutisi. Governi di Tel Aviv che tra l’altro hanno portato avanti la politica di insediamenti abusivi e creato il “Muro della vergogna” per dividere le comunità nei territori occupati. Dall’altra parte, alcune organizzazioni palestinesi e fondamentaliste islamiche della regione hanno portato attacchi terroristici dentro e fuori Israele, ed hanno di fatto influenzato i governanti palestinesi a non riconoscere ancora lo stato di Israele.
E’ nato negli anni in Europa un movimento filo-palestinese che ha avuto come anima la sinistra; ma anche da destra si è inneggiato ai gruppi più oltranzisti arabi in funzione antisemitica, con un certo strabismo opportunistico a favore del governo di Tel Aviv, in quanto ritenuto anti-islamico. Questo “mix” di ambiguità ha prodotto negli ultimi tempi un antisemitismo ed un razzismo che accomunano islamici europei, che vivono nelle zone periferiche delle grandi città e che hanno portato voti ai partiti xenofobi, insieme ai “bianchi e cristiani” di estrema destra; voti che hanno espresso anche un disagio e un disprezzo verso i rifugiati, i migranti clandestini extra-comunitari.
Non è certo facile districarsi con obiettività su questi fenomeni, perché strumentalmente si viene accusati di essere antisemiti oppure anti-palestinesi. Da sinistra, agli inizi degli anni Novanta, si è fatto molto per far entrare la Turchia nell’Unione Europea, poi la bandiera dell’inclusione è passata ai governi conservatori. Come mai? Sta di fatto che oggi, in Turchia (75 milioni di islamici) siede un governo di destra, ultranazionalista, tendente a legittimare le usanze integralistiche, mentre Israele ha una popolazione di poco più di 5 milioni di ebrei. Eppure da destra e da sinistra, nonostante queste due nazioni orbitino in tutte le organizzazioni europee (basti pensare alle federazioni sportive), non si è mai chiesto di far aderire entrambi gli stati all’UE!
Scrive Lisi: “Non potendo difendere ciò che ormai è indifendibile, cioè Israele, il suo governo e le sue politiche, si stravolgono fatti idee e parole e si accusano di antisemitismo le lotte per la democrazia, per il rispetto dei diritti umani, per il ripristino della legalità internazionale. E’ una mistificazione non più tollerabile, che va smascherata. Pur nello squilibrio delle risorse, la Campagna BDS come la solidarietà con il Popolo Palestinese ed il supporto ai Comitati Popolari per la Resistenza non violenta proseguiranno. Proseguiranno fin quando Israele non cesserà di opprimere il Popolo Palestinese e di rappresentare un atroce vulnus per la nobiltà dell’ebraismo.”
Sono quindi ancora gli ebrei “gli oppressori” del mondo? Sono loro che procurano disastri economici, finanziari e sociali nella civile Europa? Qualcuno si ricorda ancora di come, dopo la Depressione negli Stati Uniti e poi in Europa, nacquero movimenti “rancorosi” contro il sionismo-massonico, non solo in Germania e in Italia, ma anche negli altri paesi che poi combatterono il nazifascismo e nella stessa Unione Sovietica di Stalin?
Il mio sforzo è stato anche di far luce su quanto oggi il mondo della finanza e dell’economia, dei media e dello sport, così determinanti per gli orientamenti dell’opinione pubblica, sia dominato dai capitali di oligarchie arabe, rappresentanti di paesi dove la democrazia è un optional, dove per decenni sono stati foraggiati i movimenti fondamentalisti come quello di Osama Bin Laden, dove non esiste la “reciprocità” religiosa e di costumi con “l’Occidente decadente”; e dove spesso i rifugiati palestinesi sono stati trattati come “cittadini di serie B”, senza diritti, e perseguitati (vedi Giordania, Libano e Kuwait). Il mondo dei “fratelli arabi” ha spesso dimenticato e osteggiato la causa palestinese, per scopi interni di potere e per riposizionamenti geostrategici a favore o meno dell’alleanza con gli Stati Uniti e le grandi multinazionali energetiche.
Qui non si tratta di fare il tifo per Israele o la Palestina, per gli ebrei o per i palestinesi di religione islamica (ricordando pedissequamente anche tutte le prese di posizione delle varie istituzioni internazionali contro il governo di Tel Aviv): noi abbiamo il dovere di analizzare i fenomeni sociali e culturali, che stanno modificando il destino dell’Unione Europea verso un razzismo e un’intolleranza, che può solo preoccuparci. E la crisi economica acuisce questi fenomeni!
Purtroppo, lo ripeto: siamo ad una nuova versione di antisemitismo, che accomuna movimenti di destra e di sinistra nell’appoggiare la causa palestinese contro “l’espansionismo e il razzismo” dello stato d’Israele. E in questa “deriva demagogica e xenofoba” l’Unione Europea non sembra affatto capace di discernere il razzismo e l’antisemitismo dal sionismo e dall’integralismo religioso islamico. Cosicché si rischia, con il prolungarsi della crisi economica e sociale, l’acuirsi degli scontri di “civiltà” e l’escalation di violenze tra comunità che invece dovrebbero integrarsi.
Ma più delle mie parole, vale la pena ricordare quanto ha detto e fatto Papa Francesco nella sua recente visita in Terra Santa: “ mai più un crimine come la tragedia della Shoah con i sei milioni di vittime ebree, tragedia che rimane come simbolo di dove può arrivare la malvagità dell’uomo quando, fomentata da false ideologie, dimentica la dignità fondamentale di ogni persona, la quale merita rispetto assoluto qualunque sia il popolo a cui appartiene e la religione che professa. Prego Dio che non accada mai più un tale crimine, di cui sono state vittime anche tanti cristiani e altri. Sempre memori del passato, promuoviamo un’educazione in cui l’esclusione e lo scontro lascino il posto all’inclusione e all’incontro, dove non ci sia posto per l’antisemitismo, in qualsiasi forma si manifesti, e per ogni espressione di ostilità, discriminazione o intolleranza verso persone e popoli”.