È in atto, sin dallo scoppio delle rivoluzioni tunisina ed egiziana, ma direi anche da ben prima, una strategia di contenimento della Fratellanza Musulmana egiziana che va oltre i confini nazionali.
Articolo di: Paola Caridi – invisiblearabs.com
C’è un gran parlare, per il web e sui giornali, del Qatar. C’è un gran parlare, soprattutto, del Qatar e dei Fratelli Musulmani egiziani. Sarebbe finita la liason tra Doha e il più importante movimento islamista arabo. Perché, si fa capire tra le righe, il Qatar ha ceduto alle fortissime pressioni ricevute dagli altri paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo. Il tutto, condito da notizie di fughe ed espulsioni di appartenenti ai Fratelli Musulmani egiziani, dal Qatar verso la Libia o, addirittura, la Tunisia.
Prima regola per lettura degli avvenimenti in Medio Oriente: verificare non solo le notizie, ma anche le fonti (giornalistiche e non) dalle quali provengono, e capire se alcune delle notizie non facciano parte di una buona campagna mediatica. Seconda regola: analizzare anche i tempi di uscita delle notizie. Terza regola, fondamentale: prudenza.
Allora, cominciamo dall’inizio. È in atto, sin dallo scoppio delle rivoluzioni tunisina ed egiziana, ma direi anche da ben prima, una strategia di contenimento della Fratellanza Musulmana egiziana che va oltre i confini nazionali. È una strategia di contenimento in ambito regionale che ha nell’Arabia Saudita il protagonista, e in molti paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo gli alleati.
La strategia si è esplicitata, dal luglio scorso, nell’appoggio saudita al regime egiziano che ha scalzato il presidente eletto Mohammed Morsi. E si è resa del tutto evidente con quello che è successo negli ultimi mesi: la firma di un accordo tra Arabia Saudita e Qatar all’inizio del 2014 per limitare il sostegno di Doha alla Fratellanza Musulmana (non solo in Egitto, ma anche in Palestina e in Siria), il successivo ritiro dell’ambasciatore dal Qatar dopo l’analogo passo compiuto dall’Egitto, e l’inserimento della Fratellanza Musulmana nella lista nera delle organizzazioni terroristiche. I rapporti all’interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo si sono, almeno all’apparenza, appianati nelle ultime settimane, con una riunione che aveva appunto come obiettivo ritornare alle buone relazioni tra Doha e il resto dei paesi della penisola arabica.
È evidente che, sul caso dei Fratelli Musulmani egiziani, si scontrano due politiche contrapposte che vanno oltre il caso egiziano e riguardano l’intera regione. Ed è anche evidente che le politiche contrapposte mettono in campi veri e propri investimenti finanziari ed economici. Il Qatar aveva sostenuto dal punto di vista economico gli islamisti egiziani, dopo la vittoria dei Fratelli Musulmani alle elezioni presidenziali e a quelle politiche. Ma il sostegno economico messo in atto dagli altri paesi della penisola arabica è di gran lunga più consistente. La mole di aiuti provenienti dal fronte ‘conservatore’ del GCC, insomma, è già pari al doppio degli aiuti che il Qatar aveva promesso all’Egitto guidato da Morsi. Dopo il 3 luglio del 2013, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Kuwait hanno deciso un pacchetto di aiuti del valore complessivo di 12 miliardi di dollari all’Egitto in cui il presidente islamista Morsi era stato destituito e si stava insediando un governo sostenuto dai militari. A questo primo pacchetto, si sono aggiunti nei mesi successivi altri sostegni da parte di Arabia Saudita e UAE per un totale di 5.8 miliardi di dollari, comprendenti anche prodotti petroliferi.
Un aiuto importante, certo, per l’unico candidato forte alle presidenziali egiziane, Abdel Fattah al Sisi, che non a caso fa la voce grossa proprio sulla questione della Fratellanza Musulmana. L’Ikhwan è finita, sostiene nella sua prima intervista. E questo è l’obiettivo non solo del regime al potere al Cairo, ma del fronte conservatore nella penisola arabica. Il Qatar si allineerà al fronte guidato dall’Arabia Saudita dopo aver cercato per anni di consolidare il suo ruolo nella regione a spese di Ryadh? È ancora troppo presto per dirlo. Le frizioni sulla presenza di sheykh Yussuf al Qaradawi a Doha, e gli attacchi ad Al Jazeera sin dalla sua fondazione alla fine degli anni novanta, sono una costante da molti anni. E il gioco è molto più complesso e allargato, coinvolge la Siria, coinvolge la riconciliazione palestinese, coinvolge il destino del Libano, coinvolge la piccola Tunisia. Coinvolge, insomma, le posizioni che Doha e Ryadh vogliono guadagnarsi su tutti i fronti caldi in Medio Oriente. Non solo in Egitto.
È per questo, dunque, che occorre una buona dose di prudenza nel leggere quello che succede tra il Golfo e in Egitto, proprio ora. E aspettare che le voci di corridoio, i rapporti di fonte anonima, i titoli sparati diventino realtà.
Da perlapace.it