di Rino Giacalone
Una medaglia d’oro non concessa. E’ quella che avrebbe dovuto ricevere e da tempo dalle mani del presidente della Repubblica l’attuale questore di Piacenza, Rino Germanà. Ma nulla si muove, perché al Viminale la cosa pare dimenticata. Germanà subì un agguato da parte di Cosa nostra in quel terribile 1992, mentre indagava sulle connessioni tra mafia e politica e dopo avere condotto inchieste sulle infiltrazioni mafiose nelle banche, come la Banca Sicula di Trapani e quella appartenuta alla blasonata famiglia D’Alì. Era a dirigere il commissariato di Mazara del Vallo quando, il pomeriggio del 14 settembre, sulla strada verso casa trovò ad attenderlo un commando armato di kalashnikov. Non era un commando qualsiasi, ma composto da capi indiscussi dell’organizzazione mafiosa, Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano e Leoluca Bagarella. La sua abilità fu efficace. Affrontò i tre killer che gli sparavano contro, rispose al fuoco, scese dall’auto sulla quale viaggiava e si spinse verso la vicina spiaggia, tra i bagnanti, sempre pistola in pugno, poi si tuffò in acqua. I tre killer erano in auto: più volte fecero avanti e indietro, continuando a sparare contro Germanà dai finestrini. Bagarella scese anche dall’auto tentando di colpirlo, poggiando il fucile sul tetto della vettura per meglio prendere la mira. Germanà ebbe la meglio: il commando andò via e lui si salvò. Ma perse la sua carriera. La sera del 14 settembre 92, incerottato, comparve sugli schermi dei tg nazionali, con lui l’allora ministro dell’Interno Mancino, contento perché i mafiosi non erano riusciti nell’intento delittuoso.
Germanà, però, grande investigatore contro la mafia, si vide imposto il divieto di tornare in Sicilia. Per lui solo incarichi lontani dalla sua terra e dalle sue indagini. Finì anche a dirigere il posto di Polizia all’aeroporto di Bologna. Solo tanti anni dopo il Viminale si ricordò di lui, della carriera interrotta, fu mandato alla Dia di Roma e poi nominato questore, prima a Forlì e ora a Piacenza. Il Viminale preferì fare a meno di lui per il contrasto alla mafia e ai colletti bianchi. Oggi si scopre che il ministero dell’Interno non gli ha nemmeno concesso la medaglia d’oro al valor civile che viene puntualmente conferita a qualsiasi poliziotto che subisce agguati simili a quello patito da Germanà. A raccontare tutto è oggi una interrogazione presentata al ministro dell’Interno Angelino Alfano dal deputato del Pd Davide Mattiello e da altri deputati, tra i quali Pippo Civati, Paolo Gandolfi, Giuseppe Guerini, Luca Pastorino, Lucrezia Ricchiuti, Veronica Tentori.
Non è tanto questione di medaglia d’oro, che pure non è qualcosa di esclusivamente simbolico, quanto la conferma che nella lotta alla mafia spesso lo Stato ha preferito, nel tempo, lasciar perdere i suoi uomini migliori. Germanà è uno di questi. Furono proprio le sue indagini a far scoprire, negli anni ’90, la caratura criminale dell’allora emergente Matteo Messina Denaro nell’organigramma di Cosa nostra ed i suoi interessi nelle principali attività economiche ed imprenditoriali nella provincia di Trapani. Oggi Messina Denaro è uno dei più pericolosi assassini mafiosi ancora latitanti. Il processo che ha riguardato l’omicidio di Mauro Rostagno, appena conclusosi con la condanna dei due imputati – conclamati uomini di Cosa nostra trapanese – ha messo in evidenza come Germanà, al contrario dei carabinieri che avevano la delega ad indagare sul delitto, aveva presto capito la matrice mafiosa del delitto: sono occorsi 26 anni per arrivare a quelle stesse conclusioni. “Il Questore Germanà – scrivono al ministro i deputati interroganti – è un funzionario della Polizia di Stato in cui continua a risplendere un’autentica ed accorata passione civile, che è di esempio ed incoraggiamento per tutti coloro che, svolgendo la medesima professione, hanno avuto la fortuna di incontrarlo”. Ma è un funzionario ancora senza la giusta medaglia.. d’oro.