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Sudan, la vita in bilico di Meriam l’apostata

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I prossimi giorni saranno decisivi per salvare la vita di Meriam Yehia Ibrahim (nella foto), la 27enne di religione cristiana che l’11 maggio è stata condannata da un tribunale di primo grado del Sudan a 100 frustate per adulterio e all’impiccagione per adulterio. Meriam era stata arrestata nell’agosto 2013 dopo che un familiare aveva segnalato alle autorità che la donna aveva spostato un uomo di fede cristiana. Secondo le leggi del Sudan, Meriam è musulmana in quanto alla nascita ha assunto la religione del padre (peraltro del tutto assente: durante la sua infanzia, Meriam è stata educata nell’ambiente familiare della madre, una cristiana ortodossa di origine etiope).

Dunque, secondo le autorità sudanesi, la musulmana Meriam ha sposato un cristiano. Di conseguenza, il matrimonio è nullo e, siccome nel frattempo è nato un figlio e un secondo nascerà tra meno di un mese, Meriam è colpevole di adulterio, avendo avuto relazioni al di fuori del matrimonio. Infine, poiché la donna continua a proclamarsi cristiana (lo ha ribadito anche l’11 maggio di fronte al tribunale), ecco anche il reato di apostasia.

A seguito della mobilitazione internazionale, promossa da Italians for Darfur e cui si è aggiunta Amnesty International con un appello (può essere firmato sul sito www.amnesty.it), è stato ottenuto un primo parziale risultato: il presidente della Corte suprema avrebbe dichiarato di non avere intenzione di confermare la condanna alle frustate e a morte. Fino a quando non vi sarà un annullamento formale della sentenza dell’11 maggio, tuttavia, la sorte di Meriam resta in bilico. Per questo, è necessario proseguire la campagna per ottenere la piena assoluzione e il rilascio di colei che non è altro che una prigioniera di coscienza, condannata solo a causa della sua fede religiosa.


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