Una partita non può diventare l’Ucraina. Dove bande armate si scontrano fisicamente, con sempre più violenza e sempre meno legge. Non sono un tifoso, né vado allo stadio. Anzi, noto che spesso chi esagera con il tifo – eccesso che non a caso ha il nome di una malattia – non ha senso civico e possiede un’intelligenza limitata. Per carità, ognuno è libero di scegliere la propria vita. Però non sopporto la cessione di sovranità dello Stato di diritto alle “carogne” di turno, che mettono a ferro e fuoco uno stadio, una città e l’incolumità delle forze dell’ordine.
La verità è che c’è una comprensione malata per il tifo, sia da parte delle società di calcio, che non vogliono perdere i tanti clienti violenti; sia da parte delle questure, che trattano i disordini domenicali come un corollario normale del calcio giocato. Così abbiamo toccato il fondo. Allora prevediamo i “cartellini” anche per i tifosi: giallo per l’ammonimento al primo eccesso; rosso per la seconda trasgressione, con l’espulsione perenne dagli stadi.
In Europa, c’è una rigidità di controlli, che è diventata pedagogica. Le regole hanno insegnato ai tifosi come si può assistere ad una partita.
E negli stadi è tornato il divertimento, senza la puzza di carogne.
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