Capita sempre così: la sinistra è in vantaggio, anche di parecchi punti, tutti i sondaggi la danno col vento in poppa, pronta ad ottenere una grande affermazione elettorale e poi, all’improvviso, accade qualcosa che rimescola le carte in tavola e muta radicalmente gli scenari. Ve lo ricordate Bersani? Un galantuomo, una persona di valore, purtroppo incappato nell’inchiesta sul Monte dei Paschi che coinvolse da vicino il PD nelle ambiguità di una vicenda non ancora del tutto chiarita, dalla quale, al netto dei pronunciamenti giudiziari che ovviamente non spettano a noi, emergono dei coinvolgimenti e delle contiguità che, al di là del codice penale, segnalano comunque una degenerazione e un degrado della politica che rischiano di indebolire ulteriormente il già fragile assetto democratico di questo Paese. Pensate, dunque, quali sentimenti possano pervadere la popolazione dopo tutto ciò che si è venuto a sapere in questi giorni a proposito dell’Expo.
Ma, soprattutto, capita che la rabbia profonda, dilaniante, covata in silenzio per mesi da una parte sempre più consistente della popolazione esploda in maniera spietata nelle urne, quando nessuno ti vede, quando sei solo con la tua coscienza, quando ti grida dentro il desiderio irrefrenabile di vendicarti di una classe dirigente che consideri marcia, fallimentare, alla quale addebiti trasversalmente le colpe delle tue difficoltà e del declino, apparentemente inesorabile, dell’Italia. È allora che milioni di italiani, pur animati da sinceri sentimenti democratici, pur convinti che il Movimento 5 Stelle non fosse all’altezza di governare il Paese, pur dell’idea che Bersani sia una brava persona e un politico competente, è allora che in questo catino ribollente del disincanto e della disillusione è maturata l’idea di votare lo stesso per il “tutti a casa”, di compiere un gesto dirompente, di lanciare un segnale, di far pace con il proprio animo dilaniato dai dubbi e da incertezze d’ogni sorta, di “costringere il PD a tornare a sinistra”. Sappiamo come è andata a finire. La reazione dei dirigenti democratici, infatti, non è stata quella di porsi davanti allo specchio e interrogarsi, di analizzare la natura del voto grillino, di affrontare il disagio e il senso di esclusione di intere generazioni che si considerano perdute né li ha minimamente sfiorati l’idea che, forse, questo movimento così insolito, ma al tempo stesso così forte, sia frutto dei loro errori, delle loro mancanze, della loro opposizione troppo all’acqua di rose nei confronti del berlusconismo, del loro considerare il berlusconismo un qualcosa di sbagliato ma non una degenerazione patologica che ha devastato la Nazione e messo a repentaglio l’avvenire di intere generazioni, del loro considerare i movimenti, a cominciare da quelli studenteschi, come un qualcosa di diverso e altro, come dei corpi estranei, anziché il cuore vivo di una sinistra moderna, in grado di riorganizzarsi, di abbracciare i nuovi linguaggi, di utilizzare le opportunità concesse dalle tecnologie della modernità per costituire una rete, un partito aperto, una formazione politica presente nella società e capace di ascoltarla e farsi carico dei suoi problemi.
Al contrario, essi hanno preferito affidarsi alle formule magiche, all’uomo solo al comando, al leader in grado di battere Berlusconi nelle urne che purtroppo per loro, guarda i casi della vita, in seguito alla sentenza della Consulta sul Porcellum ha preferito arrivare a Palazzo Chigi senza sottoporsi al giudizio degli elettori, inneggiando alle larghe intese fino al 2018 e formando un governo oggettivamente inferiore, per qualità e competenze, rispetto al pur difficile esecutivo composto da Letta. Nel frattempo, quell’“orda di barbari” è cresciuta: da orda si è trasformata in onda, da marea in tsunami e oggi veleggia in tutti i sondaggi fra il 25 e il 28 per cento, col forte rischio che nelle urne, per quell’effetto di repulsione generale descritto prima, la percentuale si innalzi ulteriormente, fino a rompere gli argini, fino ad esondare, fino a mettere davvero con le spalle al muro una politica incapace di riformarsi, inadeguata a cambiare il Paese, disposta a tutto pur di conservare se stessa e perpetuare pratiche fallimentari e dannose per la stragrande maggioranza dei cittadini, chiusa all’ascolto e spaventosamente presuntuosa e arrogante nei confronti di ogni critica, di ogni appunto, di ogni considerazione minimamente corredata da perplessità.
Noi, naturalmente, non abbiamo mai creduto che siano tutti uguali o che quel modello fondato su una sorta di “democrazia dell’urlo” possa produrre effetti positivi: sappiamo, al contrario, che la rabbia sconsiderata può rivelarsi dannosa, molto dannosa, che non è quella la risposta di cui hanno bisogno i più deboli, che non è così che si risponde in maniera proficua alle istanze di giustizia sociale e redistribuzione della ricchezza oramai non più rinviabili, sappiamo tutto questo ma sappiamo anche che non è questo il messaggio che emerge dal comportamento e dalle proposte di larga parte della sinistra.
La sinistra, ci spiace dirlo, in Europa ha introiettato il liberismo e in Italia il berlusconismo, utilizzandone il linguaggio, promuovendone le idee, addirittura arrivando a realizzarne le riforme, in nome di quel “riformismo” che è un altro mantra, un altro dogma di questa falsa modernità che non significa nulla se non la deriva verso un’uniformazione massificante dei messaggi politici che favorisce, da una parte, le larghe intese e dall’altra i movimenti populisti (e spesso anche xenofobi e ultra-nazionalisti) che intendono scardinare il sistema.
Questo è ciò che è accaduto negli ultimi vent’anni: il thatcherismo è sopravvissuto alla Thatcher e ha trovato il suo compimento nell’azione politica di Blair, la vera destra in Germania si è rivelata la finta sinistra di Schröder e in Italia il berlusconismo sta sopravvivendo alla grande a Berlusconi, al punto che oramai viaggia col pilota automatico, dopo aver colonizzato quasi tutte le formazioni politiche, comprese quelle sulla carta più distanti. Peccato che così non si salvi nessuno e dalla crisi non si esca, se non in senso drammaticamente regressivo.