A metà del secolo scorso negli Stati Uniti erano in grande spolvero il rock and roll e, naturalmente, il jazz, mentre in Italia egemonizzavano la scena i pur bravi Nilla Pizzi e Gino Latilla. Solo parecchi anni dopo arrivarono gli urlatori, che prefigurarono le rotture successive. Mutatis mutandis, l’esempio calza da vicino nel dibattito sui media. Grandi strali contro la par condicio e tagli secchi del servizio pubblico radiotelevisivo, nonché vaghe promesse sull’Agend(in)a digitale. Per non dire del copyright o della cosiddetta copia privata. Un caso di scuola è il delicatissimo tema della neutralità della rete. Si tratta di una delle fondamenta della democrazia del tempo contemporaneo.
La rete deve essere sempre aperta e mai discriminatoria: altrimenti, si mette in discussione la stessa ontologia di Internet, che o è luogo di partecipazione paritaria o non è. Insomma, la neutralità è una precondizione per poter esercitare tutti gli altri diritti. Ecco, di tale tema nel dibattito pubblico italiano non c’è traccia (nella passata legislatura un disegno di legge in materia – discusso per otto mesi in rete- rimase lettera morta), mentre nel villaggio globale è il principale argomento di scontro politico ed economico. E già, perché la velocità dell’incremento tecnologico offre sempre maggiori opportunità di circolazione, ricchezza che da numerosi parti si vorrebbe appannaggio di poche élite dotate di grandi risorse. I grandi operatori delle telecomunicazioni non sopportano che un cittadino qualsiasi valga come Netflix, Amazon o Google. Attenzione. La net neutrality non cancella la mitica libertà del mercato, né abolisce i profitti. Si tratta semplicemente di stabilire che l’uguaglianza dell’accesso non è in discussione. E’ una delle principali battaglie del secolo e si gioca anche qui la cruciale questione della diffusione dei saperi.
Negli Usa il confronto è asperrimo. Obama si era schierato a favore, come in un primo momento la Federal Communication Commission. Dopo una decisione della Corte di appello federale del distretto di Columbia, la Fcc medesima sta cambiando orientamento. I maligni sostengono che qualche componente dell’autorità d’oltre oceano ha conflitti di interesse. Come è piccolo il mondo, si dirà. Comunque, non è finita qui. In Europa qualcosa si muove. Agli inizi di aprile il Parlamento europeo ha approvato un emendamento al prossimo progetto di regolamento europeo sulle telecomunicazioni, proprio a difesa della net neutrality. Ne è scaturito un putiferio, che troverà voce nel Consiglio dei ministri che si terrà dopo le elezioni del 25 maggio. Alla faccia di chi parla di confini incerti tra progressisti e conservatori , questo è davvero un punto discriminante.
Torniamo all’ afasia italiana. C’è un orientamento del governo? E’ l’atteggiamento velatamente ostile del sottosegretario Giacomelli? Nell’esecutivo della velocità digitale, chi si sta occupando di tutto ciò? Quando arriveranno i novelli urlatori?
P.S. Grazie agli accurati dati forniti dal Centro di Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva per il periodo 1 aprile 9 maggio, pare proprio che le grida manzoniane dell’Agcom abbiano prodotto pochino. Pd , Forza Italia, 5Stelle (staccati) guidano la classifica, come se non fossimo nel periodo “protetto”. I radicali ridotti a prefisso telefonico, Tsipras, Lega, Verdi, Italia dei Valori, Fratelli d’Italia, Nuovo Centrodestra agli inferi.
Grillo andrà da Vespa, che inviterà successivamente Berlusconi e Renzi. Non è possibile. Non è una partita a tre. La par condicio vale anche nella repubblica di “Porta a Porta”.
* Pubblicato su “Il Manifesto