Giacomo Di Girolamo
Inizia oggi, davanti il Tribunale di Marsala, il processo a sette delle 30 persone coinvolte nell’operazione antimafia ‘’Eden’’ (13 dicembre 2013) con l’accusa di far parte o di aver favorito il clan del boss latitante Matteo Messina Denaro. Alla sbarra vi saranno Antonella Agosta, Girolama La Cascia, Michele Mazzara, Giuseppe Pilato, Francesco Spezia, Salvatore Torcivia e Vincenzo Torino. Il 28 maggio, invece, sempre davanti il Tribunale di Marsala, inizierà il processo ad altre tre persone arrestate nella stessa operazione della Dda di Palermo. E cioè Patrizia Messina Denaro e Francesco Guttadauro, sorella e nipote del capomafia di Castelvetrano, e Antonio Lo Sciuto. In quella data, i due procedimenti dovrebbero essere riuniti. Personaggio di spicco è, naturalmente, Patrizia Messina Denaro, che secondo gli inquirenti avrebbe retto il mandamento mafioso in assenza del fratello, con il quale continuava ad avere rapporti nonostante la latitanza. L’inchiesta sfociata nello smantellamento di vertici e gangli vitali della famiglia mafiosa Messina Denaro è stata coordinata dal procuratore aggiunto di Palermo Teresa Principato e dai sostituti Paolo Guido e Marzia Sabella. I reati a vario titolo contestati sono associazione mafiosa, estorsione aggravata, intestazione fittizia di beni, favoreggiamento aggravato, compravendita elettorale, corruzione, turbativa d’asta, aggravati dalle finalità mafiose. Lo scorso 12 marzo, davanti al gup di Palermo Cesare Vincenti, hanno patteggiato quattro delle 22 persone per le quali è stato chiesto il rinvio a giudizio. A due anni è stato condannato Aldo Tonino Di Stefano, a un anno e quattro mesi ciascuno Vincenzo Peruzza, Girolamo Cangialosi e Antonella Montagnini. I primi due erano accusati di trasferimento fraudolento di denaro, Cangialosi di favoreggiamento, Montagnini, vigile urbano nel Comune di Paderno Dugnano (Mi), si sarebbe abusivamente introdotta in un sistema informatico protetto da misure di sicurezza. Hanno scelto, infine, il rito abbreviato Lea Cataldo, Lorenzo Cimarosa, Giovanni Faraone, Francesco Luppino, Giuseppe Marino, Mario Messina Denaro, Rosario Pinto e Nicolò Polizzi. Parti offese nel procedimento ‘’Eden’’ sono Rosetta e Vincenzo Campagna, Girolama La Cascia ed Elena Ferraro. L’associazione mafiosa viene contestata a Francesco Guttadauro, Lorenzo Cimarosa, Antonino Lo Sciuto, Patrizia Messina Denaro, Nicolò Polizzi. A Patrizia Messina Denaro è contestata anche una estorsione ai danni di Girolama La Cascia (per la quale è stato chiesto il giudizio per false dichiarazioni al pm) ed un’altra assieme al nipote Francesco Guttadauro ai danni di Rosetta e Vincenzo Campagna. Tentata estorsione contestata anche a Mario Messina Denaro, che presentandosi alla clinica Hermes di Castelvetrano affrontò la titolare, Elena Ferraro, presentandosi con il solo cognome, così da incutere timore e chiedere denaro con forma intimidatoria. Il favoreggiamento è contestato a Girolamo Cangialosi e Rosario Pinto, e per altra circostanza a Giovanni Faraone, quest’ultimo accusato anche di falso. L’intestazione fittizia è il reato imputato a Lea Cataldo, Aldo Tonino Di Stefano, Francesco Luppino, Vincenzo Peruzza e Vincenzo Torino, e ancora, per fattispecie diverse, a Michele Mazzara, Francesco Spezia e Agosta Antonella, tutti con l’aggravante di avere favorito la mafia. Accesso abusivo a sistema informatico protetto per Antonella Montagnini (vigile urbano a Paderno Dugnano) e Nicolò Polizzi (con aggravante mafiosa), corruzione per Giuseppe Marino, Francesco Spezia e Giuseppe Pilato, turbativa d’asta per Giuseppe Pilato e Salvatore Torcivia. Tra gli atti depositati dai pm vi sono anche le dichiarazioni che ha deciso di rendere Lorenzo Cimarosa, cugino dei Messina Denaro.
ASSATANATO DI SOLDI. “Sempre di soldi si parlava, signor presidente, solo di soldi». Così Lorenzo Cimarosa, imprenditore di 54 anni, cugino di Matteo Messina Denaro, risponde alle domande del pm Paolo Guido e del presidente dei Gip-Gup di Palermo, Cesare Vincenti, nell’incidente probatorio voluto dalla Direzione distrettuale antimafia. Il boss latitante era così assatanato di denaro al punto che volle a tutti i costi che gli venissero consegnati ottomila euro entro il 31 ottobre scorso, a completamento di una «dazione» da 60 mila euro erogata in più tranche. Servivano a qualcosa di urgentissimo.
A luglio dell’anno scorso Patrizia Messina Denaro, sorella del boss, aveva consegnato a Cimarosa un pizzino di Matteo, poi bruciato: «Nella lettera c’era scritto praticamente che lui (Matteo, ndr) stava male finanziariamente, che non poteva mangiare più, sempre e solo di soldi si parlava. Mai un grazie per quello che avevamo fatto». Matteo tiene a preservare il nipote Francesco Guttadauro, pure lui in cella da novembre. Patrizia invece mi ricordò che non dovevo dire niente neanche ai suoi, che era stata lei che mi aveva dato quella lettera». Gli ultimi ottomila euro non erano pronta cassa: Cimarosa chiede aiuto allo zio, Giovanni Santangelo, che a sua volta si rivolge alla sorella, suocera di Cimarosa. Fanno una specie di colletta, perché nemmeno la donna ha tutti i soldi, chiedono un prestito a un amico di Santangelo. Lo spietato e tempestivo esattore è il nipote prediletto: Guttadauro.