Non so se ci sia qualcuno tra gli avvenimenti registrati giorno per giorno dalla cronaca politica e da quella giudiziaria (ancora una volta piuttosto legate, più di quanto dovrebbero essere in quel “paese normale” di cui parlava molti anni fa un noto leader politico del centro-sinistra. Certo è, e dobbiamo prenderne atto con chiarezza, che i misteri in Italia (malgrado i volonterosi annunci dell’attuale presidente del Consiglio Renzi per ora, se si esclude la disponibilità on line dei volumi della commissione P2, ottima cosa peraltro per cui vorrei invitare giovani studiosi ad approfittarne e al più presto), non appaiono in nessun modo chiariti e dobbiamo soltanto sperare che le nuove commissioni parlamentari di inchiesta, invocate ieri dal presidente del Senato Grasso, possano, essere approvate e servano nel tempo necessario a farci andare avanti sulla strada della verità.
Proprio, stamattina, è arrivata una notizia che mi ha fatto balzare sulla sedia ed è nata intorno ad alcune carte di un segretario dell’ex ministro Scaiola, quello che nel 2002 – quando era ministro dell’Interno in uno dei governi Berlusconi, aveva definito “un rompicoglioni” il giuslavorista Marco Biagi, ucciso da cinque brigatisti la sera del 19 marzo 2002 mentre tornava a casa a Bologna da Modena dove appunto insegnava e, per questa ragione, due mesi dopo aveva dovuto lasciare l’incarico.
Ebbene le carte trovate dai magistrati devono avere un certo peso se la procura della repubblica di Bologna ha deciso di riaprire le indagini su quell’omicidio, preceduto – si ricorderà -dalla revoca della scorta che, nei mesi trascorsi, aveva tutelato il professore che era stato consulente e consigliere del ministro del Lavoro ed era stato l’autore del Libro Bianco redatto proprio sui problemi del lavoro. Ma non sappiamo ancora in che senso e in che modo consentano agli inquirenti di fare qualche passo avanti. Anche perché sulle cosiddette nuove Brigate Rosse gli studi sono ancora piuttosto arretrati e poco convincenti. Ma è significativo che i magistrati bolognesi sentano il bisogno di ritornare su un episodio che a suo tempo alimentò fortissime polemiche ma rimase avvolto nel più denso mistero.
Certo è significativo che si parli per l’ex ministro, e ripetutamente, di associazioni segrete di tipo massonico, e di legami con un ambiente che tocca da vicino la più potente associazione mafiosa che esista oggi sul pianeta, quella ndrangheta calabrese che è forte a Roma (proprio a Trastevere per chi non lo sappia o dimentichi di saperlo), a Torino, a Milano, come in Emilia Romagna come è stato provato da ricerche compiute negli anni scorsi da studiosi attendibili anche per conto della medesima Regione.
Ho già scritto nei giorni scorsi che siamo di fronte a una riproposizione di una vera e propria “tangentopoli” da parte di noti politici e amministratori ma dobbiamo sottolineare che c’è qui un elemento ancora più preoccupante perché sia l’elemento massonico che quello mafioso appaiono presenti e potrebbero magari – lo si vedrà in seguito, come è ovvio – apparire centrali e determinanti. Una nuova fase ma peggiore dell’eterno ladrocinio su un paese ancora anormale, purtroppo.