In questi giorni oltre 130 parlamentari hanno presentato una mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Repubblica federale somala Hassan Sheikh Mohamud motivata dal fallimento del primo punto del suo programma elettorale costituito dalla sicurezza del Paese. Oltre ai tanti attentati che costellano le giornate di Mogadiscio (non si può dimenticare l’assalto degli Al Shabab al palazzo presidenziale di Villa Somalia in cui è rimasto ucciso Mohamud Hersi Abdulle, Capo di gabinetto del Primo Ministro), nelle ultime due settimane sono stati uccisi due parlamentari e diverse donne impegnate nella società civile. Ma i parlamentari ce l’hanno con Mohamud anche per la gestione complessiva della politica interna ed economica, dal conferimento senza gara della gestione del porto e dell’aeroporto di Mogadiscio a compagnie turche, all’assenza di trasparenza nella gestione dei fondi dei paesi donatori.
Mohamud è criticato anche per la politica estera. In particolare i parlamentari contestatori non condividono la gestione dei rapporti col Kenya. In questi mesi la Somalia ha chiesto che le truppe della Sierra Leone, del Burundi e dell’Uganda che aderiscono alla missione di pace AMISOM sostituissero quelle keniote a Kismayo. L’IGAD, promotrice dell’accordo di Addis Abeba per il riconoscimento dell’amministrazione provvisoria del Juba guidata da Ahmed Madobe, ha accolto la richiesta somala, ma il Kenya non ha ancora lasciato Kismayo e, anzi, ha adottato una serie di rappresaglie contro i somali. Il console somalo a Nairobi è stato arrestato. A Kismayo è stato nominato un console keniota le cui credenziali sono state ricevute dal Governatore Madobe all’insaputa di Mogadiscio: come a dire che non si riconosce la sovranità della presidenza somala su Kismayo.
Inoltre il Kenya ha chiesto l’allontanamento dei somali dal centro di Dadaab, il più grande campo profughi del mondo. In questo senso il Kenya, incurante delle proteste delle ONG umanitarie, ha sottoscritto proprio ieri con il Primo ministro cinese Li Keqiang, in visita a Nairobi, un accordo per assistere il rimpatrio dei profughi somali a tutela della sicurezza del Kenya.
Inoltre i somali residenti sul territorio keniota sono oggetto in questi giorni di veri e propri rastrellamenti con deportazione in centri di identificazione ed espulsione. Poche notti fa a Nairobi, durante un’irruzione della polizia keniota in un’abitazione nel quartiere somalo di Eastleigh, una donna incinta è caduta dal terzo piano ed è ora ricoverata in ospedale con gravi lesioni alla schiena. I parlamentari rimproverano a Mohamud di non aver adottato una forte reazione contro queste aggressioni del Kenya, limitandosi a ritirare il proprio ambasciatore da Nairobi.
Sul tema della sicurezza interna, i parlamentari contestatori hanno anche presentato mozioni di sfiducia contro il Ministro della sicurezza Abdikarim Hussein Guled e quello dell’interno Godah. Il primo già rivestiva la carica di Ministro dell’interno del precedente governo retto da Shirdon ed il Presidente Mohamud non ha voluto allontanarlo quando Abdiweli Sheikh Mohamed è stato chiamato a formare il nuovo gabinetto. La stessa protezione Mohamud l’ha dedicata a Farah Abdulqadir che, dalla inusuale carica di sottosegretario alla Presidenza della Repubblica federale sotto il precedente governo, è stato promosso a Ministro della giustizia nell’attuale gabinetto. Entrambi i Ministri Guled e Abdulqadir appartengono, come il Presidente Mohamud, al movimento Damul Jadid che, a sostegno della politica presidenziale, ha indetto per oggi una manifestazione a Mogadiscio. Ma il Presidente Mohamud non ha potuto beneficiare del corteo perché è stato chiamato d’urgenza a Kampala dal Presidente ugandese Museveni per colloqui. Lo spettro degli accordi di Kampala del 9 giugno 2011, durante i quali venne decisa la destituzione del Primo Ministro Farmajo, non promette nulla di buono a Mohamud dopo che anche il suo incontro ad Addis Abeba col Segretario di Stato americano Kerry nei giorni scorsi non è andato nel migliore dei modi. L’intelligence e i think tank americani da tempo chiedono la revoca del riconoscimento alle istituzioni rette da Mohamud in Somalia. Il pericolo è che, sostituendo Mohamud, personaggio comunque favorevole ad una Somalia unita, l’Etiopia coroni il suo desiderio di frammentare la Somalia in tanti piccoli stati.
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