Gheddafi lo aveva drammaticamente predetto: “Dopo di me sarà il caos”. Ma forse neppure l’ex raìs poteva immaginare a che livello di violenza sarebbe sprofondato il suo Paese. La Libia è allo sbando, totalmente nelle mani delle bande armate. Pochi giorni fa è stato sventato un colpo di stato del generale Khalifa Haftar, il nuovo “signore della guerra”. E ora sotto tiro sono i giornalisti che denunciano il sangue sparso dalle milizie islamiche. L’ultimo crimine fa orrore. E’ stata uccisa e sgozzata una giovane reporter televisiva, molto popolare soprattutto nel sud della Libia. Lavorava per l’emittente Al Wataniya. Si chiamava Nasib Karnaf, aveva solo ventitrè anni. Era stata rapita qualche giorno prima a Sabah, a seicento chilometri da Tripoli, uscendo dalla redazione: l’hanno ritrovata la stessa notte in un vicolo con la gola tagliata, sanguinaria consuetudine degli assassini qaedisti che suona anche come messaggio sinistramente simbolico per chi è giornalista e anche donna. Ne ha dato notizia il sindacato generale dei giornalisti libici, che ha esplicitamente accusato “gruppi terroristici” dell’uccisione e ha “esortato il Congresso nazionale e il governo ad interim ad adottare le misure necessarie per la protezione dei giornalisti”. Soltanto tre giorni prima era stato ucciso a Bengasi un altro reporter, Meftah Bouzid, noto per le sue posizioni duramente critiche nei confronti dell’estremismo radicale.
A meno di un mese dai due agguati ai quali era riuscito a sfuggire Hassan Bakush, corrispondente dalla Cirenaica del canale televisivo privato “Libya Li Kullu Ahrar”. Anche in questo caso i principali indiziati sono gli estremisti islamici di Ansar al Sharia. La base è verso il confine con l’Egitto, dalle parti di Tobruk, sotto la guida di Abu Sufian Bin Qumu, già autista di Bin Laden, leader di una cellula accusata dell’assalto all’ambasciata americana di Bengasi, dell’omicidio di almeno cinque fra politici e poliziotti fedeli a Gheddafi e recentemente anche di numerosi sequestri, fra cui quelli degli italiani Scalise e Gallo, rilasciati dopo un mese, e dell’ingegnere veneziano Gianluca Salviati, diabetico, ancora in mano ai rapitori. E forse sarebbe ora di riflettere finalmente sulla follia occidentale di favorire addirittura l’avanzata islamica, contribuendo in maniera determinante alla rivolta contro il dittatore libico.