Oltre 200 dispersi in mare. L’ultima tragedia degli emigranti ha superato il quorum di morti per andare in prima pagina, mentre quelle che da anni riguardano pochi cadaveri alla volta rimangono effetti collaterali, annegamenti di routine. La verità è che quando i migranti sono su un barcone è già troppo tardi per intervenire. Si può fare solo un “pronto soccorso” – come di fatto è l’azione “Mare nostrum” – mentre la complessità delle migrazioni imporrebbe ben altra pianificazione.
Sappiamo che le popolazioni in sofferenza si muovono seguendo la legge dei vasi comunicanti: la sofferenza alta spinge i migranti verso nazioni dove è bassa. Allora è su questo fattore che occorre lavorare, ma con piani pluriennali di collaborazione e sviluppo, che implicano la costruzione di una filiera di interventi coordinati e adeguatamente finanziati.
L’Europa dovrebbe farsi carico di cooperare alla stabilizzazione di paesi come la Libia e l’Egitto, per poi avere finalmente istituzioni con cui avviare interventi umanitari sostenibili. Ma molti, in Italia e in UE, vedono la disorganizzazione come un benefico filtro che rallenta e scoraggia gli ingressi e si limitano volutamente al “pronto soccorso” , portando a terra donne, uomini e bambini, per poi abbandonarli al loro presente.
Questa disorganizzazione si scarica sulle comunità più esposte ed è combustibile per xenofobi e razzisti, che infatti stanno innalzando il loro consenso su un disagio generato da un problema lasciato marcire. La strategia è sempre la stessa: non decidere in Italia, mentre l’Europa auspica ed esprime sgomento.
Ma forse hanno ragione loro. Perché agitarsi? Tra un paio di giorni la notizia sparirà dai giornali. E parleremo d’altro.
Fino al prossimo quorum.
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