A Giugliano, in provincia di Napoli, si cercano spazi di confronto, non solo perché materialmente sono stati occupati da tonnellate di rifiuti tossici in gran parte provenienti dalle industrie del nord ma, soprattutto, perché i fusti nordici hanno contaminato anche le coscienze. A Giugliano, ricordiamolo, il consiglio comunale è stato sciolto per infiltrazioni camorristiche e per questo anche la politica al momento non offre risposte concrete ai cittadini, che invece hanno costituito decine di comitati che si battono per la salvaguardia dell’ambiente, ed altrettante associazioni che provano a realizzare momenti di aggregazione, crescita, confronto e dibattito. Sabato scorso l’associazione Ibris, presieduta da Anna Russo, ha invitato tutti ad un incontro importante perché è stato possibile assistere alla proiezione del docufilm di Ambrogio Crespi dedicato alla drammatica vicenda di Enzo Tortora. In un momento in cui ci avviamo alle urne, o dove è facile incorrere nella strumentalizzazione dei partiti, non scriverò su tutti gli errori commessi dalla magistratura in quel processo. La platea di Articolo 21, e non solo, ben conosce anche le successive fortune di coloro che “condannarono un innocente”. Credo che siano sufficienti le affermazioni della compagna Francesca Scopelliti, che nel docufilm dichiara che se in Italia non si è riusciti a riformare anche la magistratura e perché “la classe politica o è troppo amica o troppo nemica dei magistrati”. Ma vorrei punture l’attenzione sul cattivo giornalismo, sulla pessima informazione che venne fatta su questa vicenda. Basterebbe leggere alcuni stralci pubblicati sulla brochure distribuita prima della proiezione. Basta leggere questi scritti per rabbrividire, per capire quale pagina nera ha vissuto il giornalismo italiano durante la vicenda Tortora. Quale mala informazione è stata fatta in quegli anni. Riporto un’affermazione dell’avvocato Della Valle, uno dei difensori di Tortora, che sostiene come per questa vicenda “i depositi degli atti non avvenivano in cancelleria ma in edicola”. Dramma maggiore, però, lo si è vissuto dopo, quando il tribunale di Napoli assolve Tortora. Nessuno, se si esclude Paolo Gambescia, ha avuto il coraggio di chiedere scusa. No, tutti pontificavano con le proprie penne dietro spaziose scrivanie, accettando e considerando vere le dichiarazioni di delinquenti in cerca solamente di sconti di pena. Con quanti cattivi maestri abbiamo dovuto fare i conti noi, non più giovani, cronisti. Una cattiva scuola di giornalismo i cui danni viviamo ancora oggi. Al termine qualche signora più anziana, ha preferito nascondere le lacrime rivedendo le immagini di Enzo Tortora al ritorno in Rai salutare il proprio pubblico con quella indimenticabile frase: “Dove eravamo rimasti”.