Le accuse contro l’ex ministro Calogero Mannino per gli Interventi Straordinari nel Mezzogiorno – avvocato e noto produttore vitivinicolo – (e prima della Marina Mercantile, dell’Agricoltura e delle Foreste, dei Trasporti, ex democristiano eletto nel 1976 nel collegio della Sicilia occidentale, rieletto nel 1979, 1983, 1987 e 1992) nel processo palermitano sulla trattativa mafia-Stato diventano sempre più pesanti. Nel settembre 2010, Mannino, in polemica con l’on. Casini, aderisce al Gruppo misto e fonda i Popolari per l’Italia di Domani, legati al Centro-destra, votando la fiducia al governo Berlusconi. Ma, il 24 marzo 2011, abbandona quella formazione politica per lavorare alla fondazione di Iniziativa Popolare, legato a Berlusconi che deve riassorbire alcuni parlamentari prima seguaci di Gianfranco Fini. Ma, il 14 ottobre, si stacca dal IV governo Berlusconi e il 17 gennaio 2012 aderisce al gruppo misto Repubblicani-Azionisti.
Nel processo palermitano sulla trattativa, il pubblico ministero Tartaglia chiede – a nome della procura di Palermo – l’acquisizione del cosiddetto “Corvo due”, otto pagine anonime che descrivevano l’instaurazione di un canale di comunicazione (in seguito e a causa dell’omicidio di Salvo Lima) tra esponenti politici (tra i quali Mannino) e i vertici di Cosa Nostra, pagine inoltrate a 39 destinatari (tra cui giornalisti, scritte certamente a cavallo tra il 23 maggio ’92 e il 23 maggio 1992(Capaci) e il 19 luglio 1992(via d’Amelio). Tartaglia specifica l’importanza di acquisire la copertina del fascicolo della procura di Palermo n. 356 del ’92 da cui si ricava che proprio Borsellino era stato delegato, insieme al collega Aliquò alle indagini scaturite dall’anonimo. Chiede inoltre l’acquisizione della deposizione resa al processo Mori dall’ex tenente Canale per discutere del “Corvo due” e non per approfondire l’indagine così detta sulla mafia appalti. Sempre riguardo al “Corvo due”, si chiede l’acquisizione di altri documenti che provano l’atteggiamento in contrasto radicale con le indagini condotte dalla procura di Palermo.
Proprio il generale del Ros, Antonio Subranni (poi implicato nel processo palermitano) aveva scritto all’allora procuratore di Palermo, Piero Giammanco: “Caro Piero – scriveva l’ex ufficiale del Ros – ho piacere di darti copia del comunicato dell’Ansa sull’anonimo delle otto pagine.” Tartaglia chiede anche che venga acquisito la nota ufficiale del 3 ottobre 1992 in cui Subranni rinnovava il giudizio di “inattendibilità” e di pericolosità” sul contenuto dell’anonimo ma, soprattutto, chiede l’archiviazione del procedimento penale sul “Corvo 2”. Il p.m. chiede anche gli atti che riguardano le rivendicazioni della “Falange Armata” che hanno accompagnato quasi tutti gli episodi di “violenze o minaccia alle istituzioni” avvenuti tra il 1991 e il 1993″ con la sigla della Falange Armata. Già, nel biennio precedente, vari collaboratori di giustizia lo avevano anticipato riferendosi alle riunioni preparatorie, avvenute nelle campagne di Enna tra l’autunno del ’91 e il febbraio ’92, e alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia come Filippo Malvagna, Giuseppe Pulvirenti, Maurizio Avola e Gioacchino Pennino. In quelle riunioni la Commissione regionale di Cosa Nostra aveva preso atto del venir meno delle “garanzie accordate fino ad allora e aveva predisposto la strategia stragista come risposta immediata. Si era deciso di usare la sigla della “Falange armata”, invece di quella di Cosa Nostra. Secondo il PM, quei messaggi di intimidazione e di minaccia seguono un calendario preciso.
Per Tartaglia la sigla Falange Armata fornisce una dimostrazione di unitarietà e identità del disegno di violenza e minaccia alle Istituzioni perseguito anche da Cosa Nostra nel ’92-’93. Si riferisce al dispaccio ANSA del 15 marzo ’92 “Lima: le indagini; si lavora in silenzio, con riferimento alla rivendicazione dell’omicidio da parte della Falange Armata . Chiede anche la nota della questura di Bari sulla telefonata anonima fatta il 5 aprile ’92, il giorno in cui fu ammazzato il maresciallo Guazzelli, considerato l’intermediario delle comunicazioni di Mannino con Cosa Nostra. Telefonata fatta da uno pseudo aderente alla Falange Armata. Tra i documenti anche quelli legati al processo Mannino per concorso esterno in associazione mafiosa (pur concluso con l’assoluzione). Tra questi anche alcune pagine dell’agenda del ’92 del numero tre SISDE, Bruno Contrada in cui sono annotazioni di riunioni e incontri al Ministero tra Contrada, il generale Subranni e Mannino per discutere della situazione siciliana. E vengono chiesti atti che riguardano le recenti dichiarazioni di Riina nel carcere di Opera.
L’altro pubblico ministero Teresi ricorda che il giudice Falcone aveva ricevuto dal procuratore Giammanco un rapporto del ROS sulla questione mafia-appalti privo dei nomi. Teresi ricorda che “i vertici dei ROS avevano depositato un’altra versione di quel rapporto con tutti i nomi presso la procura di Catania. Secondo Teresi, questa manovra mostra, con la copertura del nome di Mannino, la prova a contrario della consistenza notevole dei rapporti tra l’ex ministro e i ROS, come di quella indagine su mafia e appalti. Naturalmente la difesa dell’ex ministro si è opposta con forza all’acquisizione dei documenti e il giudice dell’Udienza Preliminare deciderà tra pochi giorni. Per Mannino, insomma, ora le cose si stanno facendo molto più difficili.