Di Salvo Palazzolo – La Repubblica
Nino Di Matteo non potrà fare più nuove indagini sulla trattativa fra i vertici della mafia e pezzi dello Stato. Anche Roberto Tartaglia dovrà fermarsi. E, fra un mese, la stessa sorte toccherà a Francesco Del Bene. Tira un’aria pesante nelle stanze blindate della Procura. Il pool di Palermo è praticamente azzerato, resta soltanto il coordinatore del gruppo, il procuratore aggiunto Vittorio Teresi. È il primo drammatico effetto di una circolare arrivata dal Consiglio superiore della magistratura il 5 marzo scorso: ordina che tutti i nuovi fascicoli d’inchiesta sulla mafia debbano essere affidati esclusivamente a chi fa parte della Dda, la direzione distrettuale. E Di Matteo è formalmente scaduto da quattro anni, ufficialmente è assegnato al gruppo che si occupa di abusi edilizi. Tartaglia, invece, non fa ancora parte della Dda. Fino ad oggi, i due magistrati che hanno istruito il processo in corso a Palermo sono stati solo «applicati» al pool. Il terzo componente del gruppo, Francesco Del Bene, è l’unico ancora legittimato a fare nuove indagini, ma fino al primo giugno, poi scadrà anche lui dall’incarico decennale in Dda.
La circolare del Csm spedita a tutte le procure d’Italia è perentoria: nessun nuovo fascicolo antimafia potrà più essere gestito da chi non fa parte della direzione distrettuale, «salvo casi eccezionali». E i casi eccezionali sono particolari competenze «nei delitti contro l’economia, la pubblica amministrazione, la salute e l’ambiente». Oppure, dice il Csm, tutti i componenti della Dda dovrebbero avere dei carichi di lavoro tali da non poter condurre più altre indagini.
Così, al procuratore di Palermo Francesco Messineo non è rimasto che fermare una nuova importante assegnazione a Di Matteo e Tartaglia. Quale, resta un segreto d’indagine. Ma sembra che riguardi proprio gli sviluppi di una serie di accertamenti fatti in questi ultimi mesi. Perché, ormai, non è più un mistero che i pm di Palermo hanno proseguito le indagini sulla trattativa anche dopo l’inizio del processo in Corte d’assise: l’estate scorsa, si sono presentati con la Dia nelle sedi romane dei servizi segreti per acquisire una montagna di documentazione. Di recente hanno poi continuato a interrogare decine di uomini delle istituzioni come testimoni. Il pool di Palermo sta cercando di chiarire il ruolo della misteriosa Falange Armata, la sigla che rivendicava gli attentati del 1992-1993 ai centralini delle agenzie di stampa. E sembra che alcuni nomi su cui indagare siano saltati fuori. Ma su questi nomi Di Matteo e Tartaglia non potranno fare alcuna indagine, anche se sono stati loro a individuarli nella giungla dei misteri che ancora restano. La circolare del Csm non ammette deroghe. Non importa che un gruppo di magistrati abbia acquisito una competenza unica. Non importa che le indagini offrano nuovi spunti di approfondimento, e relative iscrizioni nel registro degli indagati. Perché, intanto, quella misteriosa sigla della “Falange armata” è ricomparsa, in una lettera minacciosa spedita in carcere al boss Totò Riina dopo la pubblicazione sui giornali delle sue intercettazioni all’ora d’aria. «Chiudi la bocca, ricordati che hai famiglia», gli hanno scritto.
Alla Procura di Palermo nessuno ha voglia di commentare. Ma il malumore cresce. Anche perché l’effetto tagliola è arrivato per tutte le indagini antimafia, che vedevano applicati diversi pm della procura ordinaria. Qualcuno sta già pensando di scrivere al Csm, per porre ufficialmente il caso.