di Graziella Di Mambro*
Storia del fallimento di un’azienda editoriale che produce barche/// – LATINA – Non tutti sapevano fino a tre mesi fa che una nota azienda editrice di quotidiani locali su Latina e Frosinone, la Nuova Editoriale Oggi srl, con sede a Latina in Corso della Repubblica 200, è anche stata «titolare» di un’area industriale assegnata dal Consorzio Industriale sud pontino con sede a Gaeta. E su quell’area produceva barche. Ed era anche associata al consorzio medesimo. Lo si è scoperto a febbraio 2014 nella sentenza che ha dichiarato il fallimento della Neo srl e che in un passaggio riporta appunto il riferimento ad un’area industriale consortile. Ovviamente si tratta di un grossolano errore, una storia quasi surreale eppure rintracciabile, nero su bianco, nella sentenza del Tribunale di Latina riferita alla società editrice di “Latina Oggi”, “Ciociaria Oggi” e “Cassino Oggi”.
Il provvedimento in una sua sezione determinante ai fini delle motivazioni è il dozzinale «copia-incolla» di un’altra sentenza, quella del 18 ottobre 2012 con cui il Tribunale di Latina non ha omologato il concordato preventivo di Italcraft srl, un’azienda di Gaeta che produceva, appunto, barche e che è stata dichiarata fallita anche per «la sopravvenuta conoscenza della caducazione» dell’assegnazione dell’area industriale da parte dell’ente consortile cui «apparteneva anche la società oggi proponente la proposta concordataria». In sintesi, la sezione fallimentare del Tribunale di Latina ha usato pedissequamente le motivazioni del fallimento di un cantiere navale per la società editoriale Neo che al posto degli yacht mandava in edicola giornali e non è associata al Consorzio e non ha aree demaniali in concessione. Basterebbe questo solo passaggio degli atti per chiedersi cosa è potuto mai succedere nell’iter di causa. Diciamo che si tratta di un mero errore materiale, una sovrapposizione informatica di archivio, visto che il giudice relatore ed estensore dei due provvedimenti è lo stesso, Roberto Amatore. Ma, a guardare bene, c’è anche dell’altro nell’iter che ha preceduto e poi seguito il fallimento della società che editava il più importante quotidiano della provincia di Latina. Per esempio il fatto che tutta la sentenza è costellata di richiami a «interventi del pubblico ministero» che in questo procedimento fallimentare non è mai entrato, mentre era presente in altri casi di fallimenti trattati dallo stesso Tribunale, ciò ad ulteriore riprova di una possibile prassi del copia incolla. Che, però, ha effetto diretto su decine di società, centinaia di lavoratori, un’intera economia, quella pontina, che da due anni registra quasi un fallimento al giorno. Sono davvero tutti inevitabili? Se si guarda da vicino questa vicenda e la si confronta con quella di Italcraft e altre vicende simili, qualche dubbio si fa strada. Forse è stata proprio la sentenza sul fallimento di un’azienda di informazione a contribuire a sollevare il velo su ciò che accade negli altri fallimenti per quel destino bizzarro che lega indissolubilmente i media alle cose reali.
Un destino bizzarro e inevitabile. Per restare ai fatti, anzi agli atti giudiziari, va necessariamente aggiunto dell’altro: la relazione del commissario giudiziale, ossia la figura che fornisce al Tribunale gli elementi per valutare la validità del piano di concordato o del fallimento, insomma colui che dà l’input di vita o di morte di una società. Nel caso specifico la decisione che decreta il fallimento di Neo si fonda su una relazione del commissario giudiziale, Carlo Felice Gianpaolino che era favorevole al concordato, anzi affermava espressamente «la legittimità del piano non solo rispetto ai principi che governano la responsabilità patrimoniale ma anche rispetto ai principi che regolano il concordato preventivo». In realtà questa relazione, depositata il 23 dicembre 2013, presso il Tribunale di Latina, è stata in parte riveduta e corretta dopo la sentenza di fallimento con passaggi che ne cambiano in maniera sostanziale e determinante il tenore. Dunque il fallimento di Neo srl si fonda certamente su due relazioni non proprio identiche dello stesso commissario; la prima depositata nei termini è, di fatto, contraria al fallimento e la seconda, spuntata all’improvviso il 12 marzo 2014 (a fallimento già decretato). In questa seconda versione «postuma» scompare il passaggio sulla legittimità del piano di concordato e si affida al Tribunale la valutazione sull’utilità del piano o del fallimento. Ma a quella data il Tribunale aveva già deciso per il fallimento. Questo certamente non può essere considerato un errore, e qualunque cosa sia stata, ha comunque ha prodotto effetti su decine di lavoratori, cassa integrazione a carico dello Stato e beffa per i creditori. Ma se si prende in considerazione che tutte le piroette che emergono da questa vicenda hanno avuto come risultato primario quello di mettere a tacere definitivamente un organo di informazione ritenuto più che scomodo dal gotha della provincia di Latina, allora forse è più facile rimettere a posto tutti i tasselli di questo puzzle solo apparentemente complesso. In tutti gli atti del fallimento della società editoriale Neo mancano due vocaboli. Questi: informazione e lavoratori. Che evidentemente non sono ritenuti valori degni di rilievo da tutti coloro che hanno contribuito a scrivere quegli atti, scopiazzando qui e lì e producendo bozze in continuo aggiornamento.
* Graziella Di Mambro è stata giornalista della redazione di Latina Oggi