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Femia lascia stare Giovanni

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ARTICOLO21 (Circolo di Trapani)  – Loro, quelli che stavano seduti venerdì scorso nella parte dell’aula del Tribunale di Bologna riservata alle parti, giudici, cancellieri, carabinieri, pm, avvocati, gli imputati a piedi libero se ce ne sono, e c’erano, e poi lo stesso imputato in piedi dentro una sorta di cubo trasparente, quasi da sembrare uno dei magnifici 4 pronto a trasformarsi, non sapevano certamente una cosa, quella di essere tutti dei personaggi in cerca d’autore. Lo ha subito compreso lo scrittore Carlo Lucarelli, seduto nella prima delle file riservate al pubblico, dall’altra parte dell’aula, quella più stretta rispetto alla prima. Ma venerdì era affollata. L’udienza è quella del processo scaturita dall’operazione Black Monkey. Imputato principale Nicola Femia, imprenditore originario di Reggio Calabria, in odore di collusioni con la ndragheta. Lui è una sorta di super star nella gestione delle sale da gioco. Una vicenda che è venuta fuori per la prima volta grazie alla penna del giornalista Giovanni Tizian che, scrivendo per la Gazzetta di Modena, ora scrive con L’Espresso, ha scoperto tutta una serie di elementi e storie che hanno reso quel mondo scintillante di monetine dentro quello che sarebbe il vero scenario: ndragheta.

Femia all’ultima udienza nemmeno tanto velatamente è tornato a prendersela con Tizian: è tornato perché da qualche anno Giovanni Tizian vive sotto scorta da quando i finanzieri intercettarono una conversazione (non direttamente di Femia) dove si parlava di “andargli a sparare in bocca”; Tizian fu convocato dalla Guardia di Finanza, entrò da solo uscì scortato, per sapere il perché gli toccò attendere come tutti l’esecuzione degli arresti…e seppe dell’intercettazione. Per il fatto che da imputato in aula ha scelto di alzare il dito contro Tizian, venerdì il presunto boss Femia si è trovato dinanzi uno schieramento fatto di giornalisti, studenti, il vertice dell’ordine dei giornalisti, con il presidente Enzo Iacopino, l’associazione Libera. E lui da dentro quel gabbiotto trasparente ha dato segni di nervosismo, guardava e voleva capire chi fosse quella gente. Non ha però cambiato programma: è tornato a rendere dichiarazioni spontanee e ancora una volta ha attribuito i suoi guai alle indagini della Finanza e al giornalista Tizian.

Stavolta però il presidente del collegio lo ha bloccato non gli ha permesso d andare oltre…lui però ugualmente per un paio di volte ci ha ancora tentato a infilare il nome Tizian e giornalista. A guardarlo soddisfatti figlio, figlia e genero, tutti e tre anche loro imputati ma non in gabbia, sono liberi di frequentare le aule di giustizia e si sono visti muovere bene nell’aula. Attentissimi. Al giornalista che “armato” di Iphone registrava le dichiarazioni del padre, all’altro giornalista che guardava fissi loro, attentissimi allla deposizione di un giovane pakistano incertissimo sotto il loro sguardo a raccontare una scazzottata della quale fu testimone e convinto alla fine a dire qualcosa perché ammonito dal giudice. “Ridete, ridete, scrivete, scrivete” ha detto il figlio di Femia passando vicinissimo a dove stavano i giornalisti.
Sembra di raccontare un processo di tanti anni addietro, e invece siamo nel 2014. E siamo anche a Bologna. Non siamo a Palermo, o a Trapani. Venerdì in quell’aula tanti personaggi in cerca d’autore e lo hanno trovato. C’era Carlo Lucarelli più volte ha aperto il suo taccuino e ha annotato, parole, espressioni, tirerà fuori qualcosa per un suo nuovo lavoro letterario.

Siamo a Bologna, Emilia Romagna. Giovanni Tizian anni addietro ha lavorato ad un’inchiesta giornalistica eccezionale, la presenza della ndragheta nella Regione. Lui ha avuto due risposte: la prima quella di tanti che hanno negato la presenza della mafia nella Regione, la seconda quella dei mafiosi o presunti tali che avevano pensato di zittirlo per sempre. Tizian allora lavorava in un giornale locale, la Gazzetta di Modena. Non fu l’unico a scrivere delle infiltrazioni della ndragheta, ci fu anche un gruppo di giovani giornalisti di Ravenna a indicare un fiume di soldi sporchi che scorreva nella civilissima Regione emiliana romagnola. Ma erano voci isolate. Ma cosa state a dire spesso si sentivano dire. Potremmo dire…scene già viste…in Sicilia. Ma anche no. Perché a quei tempi c’era anche un prefetto a Parma che negava la presenza della mafia, così per fare un esempio.
Fa impressione sentire Nicola “Rocco” Femia sciorinare, mentre rende le sue dichiarazioni spontanee, cifre su cifre dei suoi “rispettabilissimi “ affari. Numeri da capogiro per uno che non faceva il banchiere ma si occupava di slot machine: è indicato dall’accusa come il capo di una organizzazione criminale di stampo mafioso che ha fatto affari con il gioco d’azzardo. Lui parla ai giudici, accusa i finanzieri di essersi presi i suoi soldi, il Tribunale di non avere vigilato, difende i suoi presunti prestanome, i figli, e parla di Giovanni Tizian come se qualcuno fuori “avesse a intendere”. Poi ha recitato la parte del migliore contribuente dello Stato, ha detto dell’entità delle tasse pagate…viene da pensare che qualcuno, più importante, prima di lui gli ha dato il brutto esempio. “È una vergogna. La mia coscienza è pulita. Mi devo difendere, non posso riassumere 14 mesi di ingiustizie. Pure le scimmie sui giornali”, dice riferendosi alla campagna di Libera con adesivi che ritraggono una scimmietta, e in una pausa dell’udienza il figlio si lamenta che non può portare la figlia ai giardini perché ha paura di quelle figure.

Quando venerdì ha chiesto di rendere dichiarazioni spontanee, il presidente del collegio, giudice Michele Leoni, lo ha semmai invitato a depositare quel dossier che lui aveva preparato: d’accordo signor giudice lo deposito, non lo leggo ma qualcosa la devo dire. Show preparato. Ancora una volta l’imputato si è difeso accusando Giovanni Tizian. Poi a completare il quadro ci hanno pensato figlio e genero a fine udienza, “avete preparato un bel processo mediatico” hanno detto parlando con i giornalisti e ancora una volta prendendosela con Tizian. “Ma chi è questo Tizian…” come dire chi è, chi rappresenta, cosa vuole essere…un giornalista, un semplice giornalista, si risponde loro e i due non contenti…”ma perché sta scorta, che deve fare, che la smetta”…sa, si risponde, la scorta mica l’ha comprata al centro commerciale, gli è stata data da una prefettura significa che qualche pericolo lo corre”…”ma lei lo ha letto il libro, lo legga, tutte fesserie”.

“Non sono minacce ma solo chiarimenti” dice il difensore di Femia ai giornalisti presenti in aula e che sono venuti a dire agli avvocati quello che hanno detto già ai familiari di Giovanni, all’associazione Libera, agli studenti presenti e cioè che questo processo non sarà perso di vista, come successo ad altri processi, e pensiamo al processo per l’omicidio di Mauro Rostagno, che si è appena concluso a Trapani dopo tre anni di processo, dove a prendersela con i giornalisti, anzi un giornalista, è stato in piena udienza l’avvocato difensore di uno degli imputati mafiosi, sostenendo, davanti all’imputato, che quel giornalista influenzava la Corte. “Quello che ha detto non rappresenta una intimidazione” ripete l’avvocato. Ma sappiano tutti che la minaccia ha mille modi di essere rappresentata, anche una mano posata sulla spalla, o un bacio…in fronte. E Femia ha posato nuovamente la mano sulla spalla di Tizian dicendogli che lui è una brava persona e che la mala persona semmai è lui il giornalista. Con quel ghigno e le smorfie che si sono fatte più intense a fine aula quando ha visto i suoi legali attorniati dai giornalisti presenti, voleva ascoltare, forse parlare anche.

In quei momenti ha smesso di sorridere come ha fatto per il resto dell’udienza dopo avere reso le sue dichiarazioni spontanee.
Il processo continua il 6 giugno. Il presidente pare voglia arrivare presto alla fine del dibattimento. Qui come altrove le carenze di organico fanno rischiare di rendere una giustizia ingiusta e non solo per gli imputati ma forse e soprattutto per le vittime. Intanto però il giudice d’accordo con il presidente del Tribunale ha deciso di non permettere alcuna ripresa televisiva del processo. Colpa l’aula dove non è agevola muoversi “la mera presenza materiale delle attrezzature e degli operatori arreca disturbo alle attività processuali” ma anche per la “salute” delle parti: “le riprese e le trasmissioni possono provocare disagi e risvolti psicologici su tutti i soggetti che partecipano al dibattimento”. Noi intanto siamo preoccupati del disagio che Giovanni Tizian sta provando per il suo lavoro di giornalista. Un lavoro normalissimo che in questo Paese di irresponsabilità diventa sempre più pericoloso.

* Portavoce Circolo di Trapani di Articolo21


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