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Dietro l’inchiesta Ubi Banca

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di Nicola Tranfaglia

ROMA – Il saggio breve ma succoso che Salvatore Rossi ha pubblicato quasi un anno fa dall’editore Laterza e intitolato non a caso Processo alla finanza si arricchisce di un nuovo capitolo di straordinaria importanza di fronte al capitolo che riguarda le nuove, pesanti accuse che la procura di Bergamo attraverso il pubblico ministero Fabio  Peluso ha mosso, nei giorni scorsi, al presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo, Giovanni Bazoli e al numero uno di Italcementi e di Italmobi-liare Giampiero Pesenti.

 Il  banchiere bresciano che presiede Intesa San Paolo è indaga to per ostacolo alle funzioni di vigilanza in qualità della carica di presidente di un gruppo di azionisti di UBI, l’associazione banca lombarda e piemontese, che insieme all’Associazione amici di UBI avrebbe messo in campo un sistema di regole tale da predeterminare le decisioni dei vertici della banca.

Ovviamente avrebbe fatto tutto questo senza rispettare le procedure di un normale patto di sindacato e quindi senza che le autorità di vigilanza ne avessero compiuta conoscenza. Anche il presidente del comitato di gestione di Ubi  Banca, Franco Polotti e il presidente del comitato di sorveglianza Andrea Moltasio risultano indagati anche loro per mancata vigilanza insieme con il vicepresidente Mario Cera, l’ammini-stratore delegato Victor Massiah e l’ex presidente della Banca Popolare di Bergamo Emilio Zanetti.  All’ipotesi di truffa e riciclaggio si legano invece i nomi del consigliere Italo Lucchini, dell’ex presidente Giampiero Ber toli, dell’ex vicedirettore generale vicario Alessandro Maggi e dell’ex responsabile del recupero e vendita bene Guido Comi notti. Personaggi, si badi bene, che vengono da ambienti politici e culturali differenti ma tutti implicati nel nuovo affare emerso in relazione alla nuova inchiesta giudiziaria lombarda.

La procura ipotizza in questo filone di inchiesta gravi irregolarità nella vendita di beni di lusso, tra i quali imbarcazioni ed aeromobili.  Tali beni venivano ceduti, sostiene l’ufficio giudiziario sulla base delle sue indagini, in leasing a persone fisiche e a società e, di fronte alle prime difficoltà di pagamento delle rate concordate, venivano sottratte e cedute, a un prezzo di gran lunga inferiore al valore reale, a persone vicine ad UBI Banca. Una sorte toccata ad esempio all’ex velivolo CESSNA di Lele Mora, già agente dei VIP e personaggio noto nell’ambiente da avanspettacolo e delle cronache giudiziarie. Oppure allo yacht di lusso  del valore di 12 milioni di euro appartenuto all’imprenditore Massimo Crespi e poi venduto a soli tre milioni e mezzo, nonostante le offerte superiori pervenute successivamente  a una società battente bandiera cipriota riconducibile  all’Italcementi di Giampiero Pesenti.

Già la Banca d’Italia aveva espresso dubbi sulla gestione della controllata dell’UBI attiva nel settore del leasing ed aveva avviato nel 2012 una serie di ispezioni che si sono concluse con una sanzione di 360mila  euro  a vecchi e nuovi manager, sindaci inclusi. Le ripercussioni dell’inchiesta in Borsa sono state subito pesanti e il titolo è  andato a picco lasciando sul terreno il 3,7% per cento che è una batosta notevole per gli azionisti della banca.  La verità è che qui non ci troviamo di fronte a una vicenda di scarsa importanza o tale da poter essere trascurata per il ruolo degli enti ma anche degli uomini che li governano. C’è da sperare che i magistrati, come l’opinione pubblica nazionale, ne prendano atto, almeno questa volta.             

Da dazebao.it

 


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