La condanna definitiva, da parte della Corte di Cassazione, del co-fondatore di Forza Italia, l’ex senatore della repubblica Marcello Dell’Utri , rischia di essere vista oggi come un episodio conclusivo o finale dei sempre vivi rapporti tra mafia e politica o meglio dei legami tra pezzi dell’attuale classe politica e alcuni capi importanti di Cosa Nostra. Ma non è sicuramente così, se si guarda con un minimo di attenzione a quello che è successo nell’ ultimo ventennio e si ricordano, almeno nei tratti essenziali, alcuni avvenimenti che hanno caratterizzato la storia italiana di quella che alcuni chiamano- per convenzione- terza repubblica e che altri, più dimessa mente, definiscono il tentativo difficile degli italiani di uscire finalmente dal lungo ventennio populista.
Che cosa significa, a guardar bene, la condanna definitiva di quello che è stato, per più di vent’anni, una sorta di vice dell’ex cavaliere di Arcore ? Diciamo: l’ultimo atto di un procedimento penale che ha accertato la funzione effettiva di mediatore tra i tre capi mafia di Palermo, Bontade , Badalamenti e Inzerillo che, prima dell’arrivo al potere di Salvatore Riina e dei suoi luogotenenti Bagarella e Aglieri, hanno gestito l’associazione mafiosa palermitana e l’uomo di Arcore di un complesso network di politica e di affari che ha visto tentativi di ricatto, grossi finanziamenti, mai diventati noti, e truffe per far prevale re interessi di piccoli gruppi o di società segreti su quelli generali e delle comunità regolarmente costituite e rapprese tate a livello cittadino ,locale e in parte persino nazionale e internazionale. Quello è quello che è successo in passato e continua a succedere-temo-anche oggi nel nostro amato Paese.
E Dell’Utri, come altri personaggi della storia, hanno avuto un ruolo- tutt’altro che secondario- in vicende non secondarie dell’ultimo ventennio. Basta leggere, del resto, un’ attendibile Storia della mafia come quella, più volte edita dall’editore Donzelli, di Salvatore Lupo o le interessanti Interviste a Cosa Nostra raccolte da Raffaella Fanelli e pubblicate nell’autunno 2013 dal piccolo editore ANord Est , per averne una raggelante conferma. Così quando emerge quell’espressione, doverosamente espunta dai telegiornali e dagli editoriali dei quotidiani, che parla di trattativa tra mafia e Stato, sembra difficile negarla. Se si pensa al grande ricatto compiuto da Cosa Nostra attaccando gli Uffizi e altri musei importanti del Paese o Chiese di grande valore e consegnando documenti con richieste allo Stato e minacciando di proseguire nelle stragi culminate con gli eccidi di Capaci e di via d’Amelio se lo Stato non fosse intervenuto subito ( e in maniera efficace ) a favore dei detenuti che stavano a cuore all’associazione mafiosa, in quel momento dominante sulle altre sparse nella penisola. E quando si parla dei corleonesi, guidati a lungo da Salvatore Riina, e poi da Bernardo Provenzano, che hanno gestito proprio la fase che fu definito “terroristica” di Cosa Nostra negli anni Novanta e che condusse allora a una sua temporanea sconfitta e alla successiva egemonia, tuttora funzionante della ‘ndrangheta calabrese, è possibile ricostruire l’alleanza che, in quella fase, si determinò ,al culmine della crisi della repubblica, tra la medesima Cosa Nostra e poteri dello Stato, o uomini che in quel momento li gestivano e collaborarono con l’associazione mafiosa in un progetto obbiettivamente sovversivo. Questo, lo dico per la mia lunga esperienza di studioso di questi problemi, configura un buco tutt’altro che limpido della nostra storia e c’è da sperare che giovani ricercatori vi si dedichino a fondo.