Il ministro dell’Interno Angelino Alfano si conferma la persona sbagliata nel posto sbagliato che fa benissimo le cose che non dovrebbe fare. E’ avvilente che l’unico merito e la sola ragione per cui occupa un posto cosi’ delicato sia l’essere il leader di un partitino che costituisce u a stampella del governo Renzi. Si e’ appena sbiadito il ricordo della pessima gestione dell'”affaire” Shalabayeva, ed ecco che il ministro Alfano si fa sorprendere un’altra volta con le dita dentro il barattolo della marmellata. E’ vero: si e’ unito al coro di proteste e condanne scattate dopo il fragoroso applauso che i poliziotti del sindacato SAP hanno ritenuto di tributare agli agenti condannati (blandamente) per la morte di Federico Aldrovandi.
Ma qualche giorno prima il ministro Alfano non aveva esitato a dissociarsi pubblicamente e vistosamente dal capo della polizia Alessandro Pansa, “colpevole” di aver condannato quel funzionario di polizia immortalato mentre prendeva a calci una inerme manifestante. Quella immagine, cosi’ simile alla sequenza finale di “Fragole e sangue”, un famoso film degli anni ’70, e’ l’ennesimo simbolo della polizia che non vogliamo, che non amiamo. Il capo della polizia e’ della stessa scuola di quel galantuomo che era Antonio Manganelli: un poliziotto, ricordiamolo, che sapeva chiedere scusa, ammettere gli errori, e preferi’ mettersi in ferie perche’ non condivideva l’impostazione che si volle dare al G8 di Genova. Alfano avrebbe dovuto portare personalmente un simbolico mazzo di fiori a quell’inerme ragazza presa immotivatamente a calci; e associarsi al giudizio di Pansa: per quei calci, e per la patetica giustificazione poi fornita nel tentativo di mettere una toppa all’accaduto. Come sappiamo invece ha creduto bene smentire il capo della polizia e vellicare gli istinti piu’ belluini degli agenti.
Ora non c’e’ il.minimo dubbio che fare il mestiere di poliziotto e’ difficile, impegnativo, richiede impegno e sacrifici. In cambio molti rischi e una paga di quattro soldi. Hanno perfettamente ragione gli agenti e i loro rappresentanti sindacali quando lamentano di dover combattere su due fronti: contro i criminali, e contro una macchina burocratico-imbecille fatta di regolamenti senza senso, con mille lacci e laccioli paralizzanti. Ma hanno torto marcio quando dimenticano che casi come quelli di Federico Aldrovandi (e purtroppo non sono isolati) non possono essere tollerati, che chi indossa una divisa va rispettato, ma ha anche dei precisi doveri, e che la legge e’ uguale anche per loro. Quegli applausi sono certamente una vergogna. I tentennamenti dei sindacati di polizia che per non perdere consensi non condannano in modo esplicito quanto accaduto, sono certo un’ altra vergogna. Ma, come si dice, il pesce puzza dalla testa. Il ministro Alfano quantomeno ha la responsabilita’ di aver tollerato, di non aver contrastato un clima, un’atmosfera. In un altro paese sarebbe chiamato a risponderne.